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I “social media” e internet nelle nostre vite: rischio serio di sviluppare una vera e propria dipendenza.

La dipendenza da “social media” rientra all’interno della dipendenza da Internet, meglio conosciuta con il nome originale inglese di “Internet Addiction Disorder” (IAD). Si tratta di un disturbo del controllo degli impulsi che non implica l’assunzione di una sostanza.
Nel corso delle varie epoche storiche i processi di socializzazione si sono via via evoluti in base ai cambiamenti della società. Allo stesso tempo la società ha assistito a un cambiamento dei mezzi di socializzazione e ha dovuto adattarsi ad essi.
Come ben sappiamo, l’avvento dei “social media” ha rappresentato una vera e propria rivoluzione: in brevissimo tempo essi si sono affermati nella nostra vita quotidiana, influenzando il nostro modo di comportarci, di esprimerci e di rapportarci agli altri. Probabilmente uno dei motivi principali per cui ciò è avvenuto è che i “social media”, rispetto agli altri mezzi di comunicazione tradizionali, quali ad esempio televisione e radio, permettono alle persone di entrare all’interno di uno scambio comunicativo molto più interattivo, offrendo così la possibilità di partecipare in maniera attiva e non come semplici ascoltatori o narratori.
Molto spesso si tende a scambiare tra di loro i termini “social media” e “social network”, senza considerare che essi esprimono due concetti differenti.
L’espressione “social media” sta a indicare, infatti, quel vasto numero di strumenti, tra cui software e applicazioni, che permettono all’utente di condividere e creare contenuti, siano essi immagini, video, audio o testi. Tra i social media più importanti troviamo:
1) Facebook;
2) TikTok;
3) Twitter;
4) Instagram;
5) Youtube;
6) Tumblr.
Con il termine “social network”, invece, si vuole indicare la rete digitale, costituita dagli utenti dei vari “social media” i quali, attraverso la rete, condividono ciò che preferiscono e creano contenuti nei confronti dei quali gli altri sono liberi di esprimersi.
È ben noto quanto, soprattutto nelle prime fasi della pandemia da COVID-19,le restrizioni imposte per evitare il diffondersi del virus siano state importanti.
Grazie all’utilizzo di moltissimi “social media”, gran parte delle attività che prima si svolgevano in presenza si sono potute portare avanti da remoto, permettendo così alle persone di lavorare, di studiare e di rimanere in contatto tra di loro.
Poiché le misure di distanziamento fisico hanno privato gli individui della possibilità di incontrarsi di persona, gran parte di essi si sono rivolti all’utilizzo dei “social media”: non sorprende che Facebook, una delle piattaforme maggiormente utilizzate, abbia visto un incremento del 70% del tempo trascorso e un aumento di oltre il 50% della messaggistica da parte dei suoi utenti a partire dall’inizio della pandemia.
Fermo restando che i problemi relativi a un utilizzo improprio dei “social media” si sono presentati fin da quando questi hanno avuto modo di affermarsi, nel momento in cui ci si è trovati a dover ripartire con le attività in presenza e sono tornati ad essere possibili, e spesso necessari, gli scambi vis a vis, tali problematiche si sono rese sempre più evidenti.
A livello mondiale si stima che circa 3,8 miliardi di persone utilizzino i “social” e trascorrano su di essi 142 minuti al giorno. Inoltre, una serie di studi ha dimostrato come un utilizzo appropriato dei “social media” possa in qualche modo favorire, attraverso lo sviluppo di nuove relazioni sociali e il rafforzamento dei legami già esistenti, una forma di benessere psicologico: attraverso essi, la persona può sperimentare numerose occasioni finalizzate a mantenere i propri rapporti familiari ed amicali, ad accedere a una moltitudine di informazioni di vario genere, ad esprimere opinioni e a condividere qualcosa di sé.
Allo stesso modo però, nel corso degli ultimi anni, ci si è concentrati sui potenziali risvolti negativi derivanti da un uso eccessivo e incontrollato dei “social”. Sebbene non vi sia ancora alcun riferimento da parte dei manuali diagnostici, l’uso eccessivo dei “social” viene sempre più spesso paragonato a una vera e propria forma di dipendenza.
La “Dipendenza da Social Media” o “Social Media Addiction” si riferisce a un tipo di dipendenza comportamentale caratterizzata da un’eccessiva preoccupazione per l’uso dei “social media”, accompagnata da un irrefrenabile e incontrollabile bisogno di accedere a essi.
Individui affetti da questo tipo di dipendenza presentano una serie di sintomi tra cui:
1) preoccupazione per l’uso dei “social media”, definita come la tendenza della persona a passare molto tempo sui “social” e cercare in ogni modo di ritagliare momenti in cui essere connessi;
2) sviluppo di una tolleranza in base alla quale la persona sperimenta una crescente urgenza a rimanere connessi e perciò tenderà a passare sempre più tempo sui “social” al fine di raggiungere uno stato di benessere;
3) incapacità di smettere di utilizzare tali strumenti nonostante le conseguenze negative che ne derivino;
4) lo sviluppo di una vera e propria astinenza in quanto, qualora vi fosse l’impossibilità utilizzare i “social”, la persona mostrerebbe degli stati di irritabilità, agitazione o malessere (craving);
5) modificazioni dell’umore, nel momento in cui l’utilizzo dei “social” viene portato avanti come strategia di “coping” al fine di ridurre ed evitare stati d’animo ed emozioni spiacevoli;
6) compromissione del funzionamento in importanti ambiti della propria vita, in particolare quello “socio-relazionale”.
Così come per altre forme di dipendenza, al fine di rintracciare le cause e i fattori di rischio che possono essere alla base di una “Social Media Addiction”, è opportuno adottare una prospettiva di tipo “bio-psico-sociale” attraverso la quale possiamo identificare:
1) fattori di rischio genetici, facendo riferimento a una componente di ereditarietà o ad un’alterazione della produzione di neurotrasmettitori endogeni;
2) fattori di rischio psicologici e temperamentali, tra cui difficoltà nella regolazione emotiva, scarsa tolleranza alla frustrazione e compresenza di altri disturbi mentali (ansia, depressione, PTSD);
3) fattori di rischio socio ambientali, come ad esempio mancanza di sostegno familiare o, come è successo negli ultimi anni, il verificarsi di particolari eventi che possono costringere a rimanere chiusi casa.
Più approfonditamente, in un recente studio è stato dimostrato come vi fosse una maggiore percentuale di dipendenza da “social media” in adolescenti che:
1) presentavano difficoltà nei rapporti con familiari e amici;
2) avevano la tendenza di andare a dormire con lo smartphone in modalità online.
Una moltitudine di studi hanno rilevato una correlazione positiva tra “Dipendenza da Social Media” e una serie di conseguenze fisiche, psicologiche e relazionali.
Per quanto riguarda le conseguenze fisiche è stato riscontrato come:
1) i “social network” e in particolare il fatto di ricevere “likes”, o altre forme di approvazione tipiche di queste applicazioni, attiverebbe specifiche aree del cervello, tra cui il cosiddetto “nucleus accumbens”, coinvolte nel sistema di gratificazione e ricompensa e che svolgono un ruolo fondamentale in quanto fattori di mantenimento della dipendenza stessa;
2) un uso eccessivo dei “social media” sia alla base di numerosi disturbi del sonno, soprattutto nella popolazione adolescente.
Tra le conseguenze psicologiche e cognitive più importanti troviamo:
1) maggiore probabilità di sviluppare disturbi d’ansia e disturbi depressivi;
2) aumento dei livelli di stress;
3) sentimenti soggettivi di inadeguatezza, insicurezza e bassa autostima;
4) pensieri disfunzionali su sé stessi e sugli altri;
5) difficoltà nella concentrazione e nel mantenere l’attenzione;
6) alterazione della percezione temporale.
Considerando, invece, i problemi di tipo relazionale, i più importanti sono:
1) impoverimento delle relazioni interpersonali;
2) tendenza all’isolamento;
3) tendenza alla sostituzione del mondo reale con quello virtuale;
4) diminuzione delle abilità prosociali.
Vi sono poi tutta una serie di pericoli strettamente correlati all’utilizzo dei “social media” tra cui troviamo:
1) aumento della possibilità di essere vittime di cyberbullismo;
2) probabilità di essere adescati da persone sconosciute e più grandi.
Per quanto riguarda il trattamento della “Dipendenza da Social Media”, questo è molto simile a quello utilizzato nei confronti della “Dipendenza da videogames”. La Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC), risulta essere uno degli strumenti maggiormente efficaci nel trattamento di questo disturbo.
Tale forma di psicoterapia, che ha alla base l’assunto secondo cui emozioni, vissuti e comportamenti della persona sono frutto di processi cognitivi, si avvale di:
1) tecniche cognitive, attraverso le quali paziente e terapeuta lavorano per identificare e modificare tutti quei pensieri che possono fungere da fattori scatenanti, “triggers”, o di mantenimento verso la dipendenza da social media;
2) tecniche comportamentali, mediante le quali si cerca di sostituire i vecchi comportamenti disfunzionali con nuovi comportamenti alternativi.
Risultano essere altresì importanti tutti quegli approcci “mindfulness-based” che promuovono tutte abilità di mantenere l’attenzione in maniera consapevole, non giudicante e sul momento presente.
SERGIO  DEMURU

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