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Esiste la dipendenza dai libri. È però sintomo di un malessere più radicato e profondo.

Si può essere dipendenti da un libro? In una società che spende più tempo con la testa china sullo schermo è inimmaginabile credere che qualcuno soffra di questa dipendenza. Escludendo chi estremizza e quelli che fingono di stare bene, c’è una fetta di popolazione che soffre di questa patologia ma, spesso, non se ne rende conto. O, per meglio dire, ha reso la librodipendenza un problema serio che può essere confuso con feticismo e ritualità. La diagnosi differenziale diventa obbligatoria. Se si parla di librodipendenza, ovvero della dipendenza dalle storie narrate da altri, dobbiamo parlare di almeno 50 sintomi presenti. Tra questi ci sono il rifiuto alla ri-lettura dei testi in quanto perdita di tempo, un tatuaggio che ricordi il piacere della lettura e l’incapacità di scindere momenti in cui cedere il posto sui mezzi e quando no, perché non si può leggere in piedi. Questi sono solo alcuni dei sintomi simpaticamente indicati da molti siti, sia stranieri che italiani. Nessuno di questi però definisce la dipendenza dai libri una bibliopatia. Piuttosto, si parla da sempre di bibliomania in contrapposizione alla bibliofilia, temi sui quali sempre la Treccani ci fornisce chiarezza.
Cosa potrà mai succedere quando si vive al confine tra passione e dipendenza? Quanto possono danneggiare i libri? Così, su due piedi, direi che la lettura non danneggia, anzi. Sembra che ci siano studi americani che ufficializzano gli effetti benefici della lettura sul nostro cervello e in particolare sul sistema cognitivo. Pare che i libri che ci piacciono davvero, quelle storie che riescono a scatenare in noi un grande movimento, sono in grado di incrementare durante la lettura le nostre percezioni. Patrick Süskind è certamente un grande scrittore e altrettanto lo è stato chi ha tradotto Profumo, ma se siamo riusciti a sentire l’odore di erba bagnata, di fango e feci, di piscio e sangue, lo dobbiamo gran parte a noi e al nostro gradimento di quelle pagine.
Perché i libri dovrebbero perciò finire per essere dannosi? Non si può dire cosa sia più pericoloso, certamente rendere la lettura e l’oggetto libro un qualcosa di unico e intorno ai quali far girare la nostra vita sembra un buon punto di partenza. Quando si sceglie di non avere interazioni sociali perché vogliamo solo leggere, quando decidiamo di acquistare un libro che abbiamo già invece che il pane da mettere in tavola, quando siamo disposti a restare seppelliti dai libri pur di non donarli. Queste sono condizioni che, quando rese estreme e continue, portano la lettura e l’oggetto libro su un piano dannoso. Nel manuale diagnostico non viene riportata la bibliomania così come la librodipendenza. Quindi, tecnicamente, non è possibile parlare di una vera e propria patologia. Chi osserva il lettore affetto da librodipendenza ammette di riconoscere in certi casi elementi preoccupanti nel comportamento che potrebbero essere però riferiti a piccole manie che tutti abbiamo e che non mirano a danneggiare la nostra vita. Dietro a un posto non ceduto sul bus, dietro all’acquisto compulsivo di libri o alla rabbia esplosa per una pieghetta c’è evidentemente molto altro. Proprio su questo altro è possibile agire con la terapia. La librodipendenza e la più profonda bibliomania, perciò, sono solo sintomi di un malessere più radicato e profondo.
SERGIO  DEMURU

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