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Salute 2.0

L’attività fisica come strumento di salute, ma anche opzione per diminuire la spesa sanitaria.

L’attività fisica regolare permette risparmi sulla spesa sanitaria privata e pubblica, per un valore economico annuo stimato di € 5,6 mld (49% dell’impatto totale).
Nell’Unione europea (UE), il 45% delle persone afferma di non fare mai esercizio fisico o praticare sport e una persona su tre ha livelli insufficienti di attività fisica, secondo l’ultimo sondaggio specifico dell’Eurobarometro. Ciò porta a milioni di casi di malattie non trasmissibili, che peggiorano la salute delle persone e appesantiscono le economie. Un nuovo rapporto dell’OMS e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico spiega come l’aumento dell’attività fisica ai livelli raccomandati potrebbe prevenire migliaia di morti premature nell’UE e risparmiare miliardi nella spesa sanitaria.
“L’attività fisica regolare è una delle cose più importanti che le persone possono fare per una vita sana. Non solo riduce significativamente il rischio di numerose malattie non trasmissibili, ma migliora anche la salute mentale e aumenta il benessere”, afferma Kremlin Wickramasinghe, capo ad interim dell’Ufficio europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili dell’OMS.
L’OMS raccomanda almeno 150 minuti di attività fisica di intensità moderata a settimana e ogni movimento conta per una salute migliore. Il nostro ultimo rapporto mostra che se tutti nell’UE dovessero soddisfare i livelli di attività fisica raccomandati dall’OMS, si potrebbero prevenire più di 10.000 morti premature ogni anno.
Il nuovo rapporto prodotto in collaborazione con l’OCSE e con il finanziamento dell’UE mostra il potenziale impatto che l’aumento dei livelli di attività fisica avrebbe sulla salute della popolazione e sull’economia dell’UE.
Secondo la pubblicazione, l’aumento dell’attività fisica ai livelli minimi raccomandati nell’UE eviterebbe 11,5 milioni di nuovi casi di malattie non trasmissibili entro il 2050, inclusi 3,8 milioni di casi di malattie cardiovascolari, 3,5 milioni di casi di depressione, quasi 1 milione di casi di diabete di tipo 2 e più di 400.000 casi di tumori diversi. Raggiungere l’obiettivo di 300 minuti di attività fisica a settimana eviterebbe altri 16 milioni di casi di malattie non trasmissibili.
Inoltre, il rapporto presenta i potenziali benefici economici calcolati di una maggiore attività fisica nelle parità di potere d’acquisto (PPP), i tassi di conversione delle valute che cercano di pareggiare il potere d’acquisto delle diverse valute, eliminando le differenze nei livelli dei prezzi tra i paesi.
Oggi, la Germania, l’Italia e la Francia registrano il carico più elevato di attività fisica insufficiente sulla spesa sanitaria nell’UE. Il rapporto OMS/OCSE stima che questi 3 paesi spenderanno in media rispettivamente 2 miliardi di euro PPA, 1,3 miliardi di euro PPA e 1 miliardo di euro PPA per il trattamento di malattie legate a un’attività fisica insufficiente ogni anno tra il 2022 e il 2050.
“Il nostro studio di modellazione mostra chiaramente che l’aumento dei livelli di attività fisica non è solo ottimo per la salute, ma creerà un effetto positivo per l’economia di qualsiasi paese, restituendo 1,7 euro di benefici economici per ogni euro investito”, ha affermato Michele Cecchini, a capo del gruppo Programma di lavoro dell’OCSE sulla sanità pubblica.
Complessivamente, se i paesi dell’UE affrontassero l’inattività fisica nell’intera popolazione, risparmieranno in media lo 0,6% del loro budget sanitario. Si tratta di quasi 8 miliardi di euro PPP all’anno, più della spesa sanitaria annuale totale di Lituania e Lussemburgo messi insieme.
Il rapporto OMS/OCSE evidenzia la necessità di un futuro più attivo mentre i paesi stanno riaprendo dopo le restrizioni dovute al COVID-19. La pandemia di COVID-19, che ha visto molti paesi introdurre restrizioni alla circolazione a livello nazionale, ha avuto un impatto negativo sui livelli di attività fisica nell’UE. Più della metà degli intervistati dell’ultimo sondaggio Eurobarometro ha affermato di aver ridotto il proprio livello di attività fisica, con il 34% che si esercita meno frequentemente e il 18% che si ferma completamente.
In questo contesto, il rapporto OMS/OCSE propone misure politiche che possono aumentare i livelli di attività fisica e rendere le persone più consapevoli dei suoi benefici per la salute.
“Molti paesi hanno già compiuto passi promettenti in questa direzione. Ma ci sono ancora molte opportunità per imparare dai reciproci successi. Ad esempio, i programmi per promuovere i viaggi attivi verso la scuola o il lavoro sono presenti rispettivamente solo in 14 e 17 dei 27 Stati membri dell’UE”, ha aggiunto il dott. Wickramasinghe.
Esiste un’ampia gamma di opzioni politiche per aumentare i livelli di attività fisica, che migliorano la salute della popolazione, oltre a ridurre la spesa sanitaria:
1) programmi specifici nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nel sistema sanitario
2) politiche per aumentare l’accesso agli impianti sportivi
3) urbanistica, ambiente e politiche dei trasporti
4) politiche di comunicazione e informazione.
Poiché l’attività fisica è un comportamento complesso, è necessario un pacchetto completo di politiche per mirare a tutti i suoi fattori contemporaneamente, con finanziamenti sufficienti e duraturi e una solida valutazione. Le misure sono pienamente in linea con il programma di lavoro europeo dell’OMS 2020-2025, che promuove un’azione congiunta per una salute migliore in tutti i 53 Stati membri della regione europea dell’OMS.

SERGIO   DEMURU

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Sapevi che...

Come si fa a capire che una persona ha dipendenza.

Facciamo un po di chiarezza sulla dipendenza.
La dipendenza non ha a che fare con frequenza o intensità e nemmeno con specifici comportamenti. Tutto può diventare una dipendenza!
A partire dalle droghe, l’alcol, il cibo, il sesso, il gioco (d’azzardo o meno), il partner, lo shopping, il lavoro e così via.
Ci sono degli aspetti specifici in ogni dipendenza. Ma ci sono anche dinamiche trasversali che permettono di riconoscere su di sé o sull’altro di essere intrappolati in una dipendenza.
La dipendenza ha a che fare con l’ impossibilità di scelta, con meccanismi compulsivi e con un pattern complesso di emozioni, pensieri e azioni che ruotano intorno alla dinamica del controllo. In una permanente oscillazione tra illusori tentativi di mantenere e rafforzare il controllo e la inevitabile perdita dello stesso. Il controllo è vissuto come egosintonico ed è pressoché l’unica fonte di sicurezza. Mentre la perdita dello stesso genera angoscia e disperazione, senso di colpa e/o di vergogna e ad attiva una spirale compulsiva.
Il controllo, come strategia di gestione delle difficoltà attuali o remote mediante la repressione di pensieri ed emozioni (per loro natura incontrollabili), porta sempre all’incontro/scontro con la realtà in cui il controllo si rivela fallimentare.
Il controllo è la base del sintomo.
Come si fa a capire se ho una persona ha una dipendenza?
Il sintomo di dipendenza appare dunque un tentativo disfunzionale di autocura e di problem solving. Allo stesso tempo risponde all’inconscio bisogno di sedare pensieri ed emozioni scomode.
L’effetto acuto di sedazione emozionale genera anche un effetto cronico di alterazione della capacità di riconoscere e gestire pensieri ed emozioni complesse. Così quel sintomo di dipendenza diviene l’unico regolatore emotivo del soggetto diventando il fulcro del suo umore e del suo benessere. Va da sé che si attiva una polarizzazione cognitiva ovvero un pensiero ossessivo sull’oggetto di dipendenza.
Piano piano quella dipendenza finisce per fare piazza pulita di tutto il resto della vita, diventando il centro del proprio mondo emotivo, cognitivo e comportamentale.
La dipendenza è sempre degenerativa e distruttiva. È un tritacarne!
È impossibile risolvere da soli una dipendenza. Perché si è talmente invischiati e irretiti nelle sue perverse dinamiche che si finisce per mettere in campo strategie che involontariamente rafforzano la dipendenza.
È vero che ci può essere una remissione sintomatica ovvero si impara a non fare più uso di quell’oggetto di dipendenza ma, attenzione, il rischio è che senza che ce ne si renda conto si sta semplicemente spostando la dipendenza da un oggetto/comportamento ad un altro.
SERGIO  DEMURU

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Sapevi che...

Bibite gasate, occhio ai rischi ed alle conseguenze per lo stomaco

Si può tranquillamente asserire che il consumo di Coca-cola inizia anche nei bambini in tenera età e spesso anche in quantità eccessiva.
Detta bevanda contiene molte sostanze, alcune sconosciute, e tra questi gli zuccheri e la caffeina. Tutti conosciamo gli effetti negativi degli zuccheri per la salute del bambino. Ma cosa succede nel bambino che assume molta caffeina? La caffeina nella Coca Cola ha concentrazioni superiori a 100 mg per litro , con una concentrazione record di 118 mg per litro per la Coca Cola light. 
Il Consiglio europeo di informazione sull’alimentazione (EUFIC) precisa: “Nei bambini sensibili dosi massicce di caffeina possono causare effetti temporanei come eccitazione, irritabilità o ansia”. 
Da studi eseguiti in USA e Canada si deduce che i bambini potrebbero essere più sensibili degli adulti alla caffeina e per questo i ricercatori hanno fissato un limite di 2,5 mg per chilo di peso corporeo del bambino. La dose massima giornaliera consentita è quindi di 50 mg, contenuta in mezzo litro della bevanda, per un bambino di 6 anni che pesa intorno ai 20 Kg.
L’EUFIC stima che in un bambino di 10 anni le bevande gassate possano apportare fino a 160 mg di caffeina al giorno. E’ come prendere circa tre- quattro caffe’ al giorno dal momento che una tazzina di caffe’ espresso contiene circa 50 – 70 mg di caffeina. Le bevande gassate, oltre alla caffeina, contengono sostanze non sempre identificate o discutibili,alcune delle quali sono acide per i denti.Se si considera che i bambini consumano già caffeina attraverso i prodotti a base di cioccolato, si sconsiglia vivamente ai genitori di far assumere queste bibite ai figli, soprattutto se di età inferiore ai 4 anni.
In dosi massicce la caffeina produce un aumento della pressione arteriosa, del ritmo cardiaco e respiratorio. In casi estremi la caffeina provoca tremori, mal di testa, vertigini e disturbi digestivi quali crampi addominali, nausea e vomito. Un consumo persistente di caffeina può indurre una dipendenza che si manifesta con sintomi di astinenza, qualora se ne interrompi bruscamente il consumo, che si manifestano con mal di testa, irritabilità e spossatezza.
SERGIO  DEMURU
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Salute 2.0

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo da Ordine e Simmetria si manifesta quando si vede disordine, anche minimo

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo da Ordine e Simmetria è caratterizzato da una profonda intolleranza per qualsiasi forma di disordine, anche minimo: vedere oggetti posti in maniera non ordinata, allineata o simmetrica causa un grave disagio, legato alla percezione di mancanza di armonia o logica. Dal bisogno impellente di ordine,  simmetria, allineamento, di “fare le cose per bene” scaturiscono compulsioni quali comportamenti rituali di ordinamento/allineamento, ripetizione e sistemazione/risistemazione, che contribuiscono a generare nel soggetto un senso di sicurezza interno e di controllo dell’ambiente circostante.
I bambini, ad esempio, cercano di estinguere il disagio derivante dall’ossessione di simmetria  delle lettere o dei numeri, cancellando  e riscrivendo ripetutamente sul quaderno i segni grafici corrispondenti, fino a che “sono a posto”. Adulti ed adolescenti, invece, possono sentire l’impulso di toccare un oggetto con la mano destra e subito dopo specularmente con la sinistra, secondo un preciso rituale mentale.
Il livello di interferenza nel funzionamento della persona e l’intrusività del disturbo nella vita quotidiana distinguono questo sottotipo di Disturbo Ossessivo Compulsivo da una generale preferenza umana per l’ordine e la simmetria o da specifici schemi comportamentali (script) caratteristici di alcune culture o subculture (es. pratiche di Feng Shui, stili di vita incoraggiati dai mass-media, ecc…)
La ricerca ha evidenziato anche come le ossessioni da simmetria e le compulsioni di ordine siano le uniche trasversali tra le culture.
Allo stesso modo, il disturbo si differenzia dalla comune tendenza al perfezionismo, poiché vengono perseguiti standard arbitrari eccessivamente rigidi, piuttosto che standard eccessivamente alti interni al sé (self-oriented) o socialmente imposti (socially prescribed).
Sintomi
I sintomi principali possono includere:
1) Pensieri, immagini, vissuti persistenti riferiti al bisogno di simmetria/esattezza;
2) Comportamenti ripetitivi di ordinamento/riordinamento e conteggio;
3) Bisogno di ripetere attività di routine (entrare/uscire dalla porta; sedersi/alzarsi dalla sedia, ecc…)
4) Bisogno di controllare eventuali errori;
5) Paura di non esprimersi in modo perfettamente corretto;
6) Comportamenti evitanti per prevenire ossessioni o compulsioni riferite alla simmetria/esattezza
7) Comportamenti ripetitivi che implicano il tocco simmetrico o azioni/movimenti simmetrici;
8) Rituali mentali di controllo e bilanciamento;
9) Bisogno di toccare, sfiorare, strofinare per “rimettere a posto le cose”;
Chi è affetto da Disturbo Ossessivo Compulsivo da Ordine e Simmetria, generalmente:
1) Prova una percezione di incompiutezza/imperfezione rispetto ad esperienze soggettivamente insoddisfacenti (not as just right), riferite all’ordine e alla simmetria;
2) Percepisce sensazioni corporee (tattili, muscolari, scheletrico-viscerali) e mentali (disagio, energia compressa) che precedono o accompagnano le compulsioni (cd. sensory phenomena);
3) Mette in atto rituali e compulsioni per ridurre sentimenti di insoddisfazione o disagio (piuttosto che di ansia), che scaturiscono dall’esperienza soggettiva
4) Presenta una minore fluenza verbale, con ricadute sulla flessibilità cognitiva;
5) Può mettere in atto i comportamenti rituali per evitare presunte ed irrealistiche conseguenze negative su di sé o i propri cari (c.d. pensiero magico)
Gli studi epidemiologici indicano che la dimensione ordine/simmetria è una delle manifestazioni più comuni del Disturbo ossessivo compulsivo  nell’arco della vita. Inoltre, si stima sia uno dei sottotipi di DOC più diffusi negli adulti (32 %) e nei bambini (35 %).
Il disturbo sembra avere una maggiore incidenza nel sesso maschile e presentare una componente genetica. È, inoltre, associato all’insorgenza precoce del DOC e ad un decorso più severo; frequente anche la presenza di disturbi da tic.
Nei casi di pregressa storia familiare di DOC, si segnala una maggiore compromissione del funzionamento della persona e comportamento suicidario.
Studi di neuroimmagine funzionale suggeriscono il coinvolgimento di corteccia prefrontale – talamo – striato (circuiti neurali responsabili del processo decisionale, inibizione della risposta e individuazione dell’errore),  nonché l’influsso contestuale di traumi perinatali (come  ipertensione arteriosa materna ed emorragia preparto).
Nel post partum la dimensione della simmetria/ordine è associata  all’insorgenza del Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Si ritiene che tre siano i fattori motivazionali maggiormente coinvolti:
1) Perfezionismo visivo ed intolleranza dell’incertezza
2) Sovrastima e bisogno pervasivo di controllare i pensieri
3) Eccessiva percezione di responsabilità e sovrastima della minaccia percepita.
Il livello di consapevolezza del disturbo (insight) risulta generalmente piuttosto basso. Poiché le ossessioni non sono vissute come esperienze avverse e le compulsioni sono viste come utili strategie per “mettere le cose a posto”, l’accesso spontaneo al trattamento clinico è più difficoltoso.
La diagnosi si fonda sui sintomi clinicamente significativi che causano compromissione o disagio e su diversi strumenti diagnostici.
Sono presenti comorbidità con:
1) Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)
2) Disturbo di panico
3) Agorafobia
4) Disturbo da uso di sostanze
5) Bulimia Nervosa
6) Disturbo Post Traumatico da Stress
7) Disturbo bipolare dell’umore
8) Epilessia
La terapia deve essere costruita intorno alle caratteristiche individuali del paziente e dei suoi contesti di vita.
Tra le numerose Terapie cognitivo-comportamentali attualmente in uso per la cura del Disturbo Ossessivo compulsivo, la più utilizzata è la ERP (Response Prevention Exposure), che interviene con:
1) il confronto sistematico tra le situazioni che evocano la paura ed i relativi stimoli di attivazione
2) la sospensione dei rituali compulsivi funzionali alla riduzione immediata dell’ansia/disagio
Attraverso sessioni di visualizzazione immaginativa o in un setting concreto (ambiente di vita/lavoro del paziente), si procede alla progressiva presentazione di stimoli stressogeni che il soggetto impara a tollerare gradatamente.
Interventi di ristrutturazione cognitiva risultano, inoltre, efficaci per affrontare credenze relative al pensiero magico ed al senso di “incompletezza”.
Utile anche l’intervento psicoeducativo sulla famiglia, per ridurre i vissuti negativi rispetto alla gestione quotidiana, che spesso sono responsabili della esacerbazione del disturbo.
Tenuto conto della notevole connessione tra il disturbo specifico ed il mind wandering (“la mente che vaga tra i pensieri), la pratica della Mindfulness  si rivela fondamentale nell’interrompere il legame circolare tra pensieri intrusivi e rinforzo delle compulsioni.
L’approccio farmacologico si avvale degli Inibitori Selettivi della ricaptazione di Serotonina (SSRI), sebbene possano anche essere utilizzati, in aggiunta, inibitori della monoamminossidasi e neurolettici.
SERGIO  DEMURU

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Sapevi che...

La nictofobia è una paura morbosa e irrazionale del buio e della notte. Può diventare patologica come una dipendenza

La nictofobia (dal greco nyctos, “notte”, e phobos, “paura”), detta anche acluofobia, è una paura morbosa e irrazionale del buio e della notte. Si tratta di una fobia specifica, in quanto la paura è eccessiva, causa ansia e ha un impatto forte sulla vita quotidiana di chi che ne soffre.
È molto comune durante l’infanzia e in questo caso viene considerata una fase normale dello sviluppo, ma può colpire anche gli adulti.
La nictofobia porta a sperimentare angoscia e forte disagio quando ci si ritrova in ambienti oscuri.
Tuttavia, non è la paura dell’oscurità stessa, bensì un timore dei possibili pericoli che potrebbero nascondersi nel buio. Sarebbe la mancanza di stimoli visivi, e quindi l’impossibilità di vedere cosa c’è nell’ambiente, a far scattare il segnale di pericolo e a far crescere la paura.
Negli adulti la nictofobia ha molti dei sintomi delle altre fobie specifiche, in questo caso scatenati dallo stimolo dell’esposizione all’oscurità, o anche al semplice pensiero di una simile situazione.
I sintomi cognitivi includono forte paura quando si è al buio, ansia o panico, percezione di minaccia imminente, angoscia di potere perdere il controllo, intenso bisogno di sfuggire dalla situazione, distacco da sé e dalla realtà con la sensazione di essere “irreali”, sentirsi impotenti di fronte alla paura e credere di svenire o di morire.
La nictofobia può causare anche sintomi fisici legati all’ansia, come
1) aumento della frequenza cardiaca
2) respiro affannato
3) nausea
4) mal di testa
5) sudorazione eccessiva
6) vampate di calore o di freddo
7) senso di oppressione o dolore al petto
8) tremori
9) formicolii
10) vertigini
11) bocca secca.
Esistono anche dei sintomi comportamentali associati alla nictofobia.
Le persone fobiche mettono in atto strategie di evitamento. Nel caso della nictofobia, cercano di non esporsi al buio, ritardando l’ora di andare a dormire, non uscendo la sera e scappando dalle stanze buie.
Ogni volta che si ritrovano al buio diventano nervosi e irrequieti. Eseguono anche dei rituali comportamentali per scongiurare la paura, come controllare ripetutamente che le porte e le finestre siano chiuse o che non ci sia nessuno sotto il letto.
È comune che cerchino la rassicurazione di un familiare e che non vogliano rimanere da soli.
Inoltre, questa fobia è caratterizzata da disturbi del sonno e dall’impossibilità di dormire con le luci spente. L’associazione tra insonnia e nictofobia è stata stabilita da diverse evidenze scientifiche.
Secondo una ricerca condotta dall’Università canadese di Ryerson, il 50% dei soggetti insonni ha paura del buio.
Anche nei bambini, la nictofobia può causare insonnia. Secondo uno studio, un bambino che ha una gran paura del buio impiegherebbe quasi 1 ora in più per dormire rispetto a un bambino che non ne ha. Spesso scatena anche forti pianti notturni e incubi.
Per chi soffre di nictofobia, le conseguenze più temibili che potrebbero sorgere sono gli attacchi di panico e un’interferenza significativa con le attività quotidiane, professionali o con il rendimento scolastico.
Si stima che circa 1 bambino su 3, tra i 3 e i 6 anni di età, abbia paura del buio. Questa paura è normale, così come la diffusa credenza che le tenebre possano celare la presenza di mostri o fantasmi. Per via di questa paura, è comune che i bambini si sveglino e piangano nel mezzo della notte, che abbiano incubi e che non vogliano dormire da soli.
Di solito, la nictofobia nei bambini diminuisce progressivamente intorno ai 9 anni di età, per poi scomparire naturalmente.
In alcuni casi, la paura del buio persiste e si consolida come fobia specifica. Le statistiche indicano che 1 adulto su 10 soffrirebbe di nictofobia. Negli adulti, la paura del buio assume le caratteristiche di una vera e propria patologia fobica.
Spesso è originata da un periodo di stress o da esperienze traumatiche associate all’oscurità o alla notte che la persona ha vissuto durante l’infanzia o recentemente. In chi soffre di nictofobia, al buio, iniziano a prendere piede pensieri negativi e la persona si agita, presa dall’angoscia e dall’ansia.
Da un punto di vista evoluzionistico, la paura del buio è funzionale al monitoraggio della minaccia poiché molti predatori cacciano di notte.
Secondo alcuni esperti che seguono il pensiero di Freud, la nictofobia sarebbe una manifestazione del disturbo d’ansia di separazione. Avrebbe origine dall’infanzia, in particolare nel momento in cui il bambino cerca di trovare una certa autonomia e si stacca dai genitori.
Da un punto di vista psicopatologico, oggi si ipotizza che la fobia specifica per il buio abbia un’eziologia complessa, in cui giocano un ruolo fattori genetici, familiari, ambientali e di sviluppo.
Esistono diversi fattori di rischio che aumentano le probabilità che questa patologia si manifesti. Tra questi vi sono:
Un genitore ansioso: porta allo sviluppo della paura come risposta alle reazioni di ansia del genitore.
Un genitore iperprotettivo: porta allo sviluppo di una dipendenza dal genitore, ad avere una scarsa autostima e a sentirsi impotenti, e aumenta le probabilità di soffrire di ansia generalizzata in futuro.
Un evento stressante o un trauma, recente o verificatosi durante la crescita: aumenta le probabilità di sviluppare una fobia.
Esperienze negative associate al buio: momenti apparentemente non traumatici, come essere stato terrorizzato da un racconto di paura al buio o aver sentito delle grida di notte, possono venire registrati inconsciamente come traumi.
Il primo passo per affrontare la nictofobia è accettare di avere paura. La paura è un sentimento normale nell’essere umano e ha una funzione di campanello d’allarme per una possibile minaccia. Reprimere le nostre paure non è efficace. Piuttosto, dovremmo osservarle ed accettarle.
Per iniziare ad affrontare la paura del buio, si può provare a svolgere un’attività in penombra, per poi ripetere l’esperienza qualche giorno dopo in una stanza un po’ più oscura. A poco a poco il buio apparirà sempre meno minaccioso, e così, gradualmente, si familiarizzerà con l’oggetto di timore, il buio.
Durante questo lavoro interno di esposizione alla paura, è bene cercare di mantenere la mente più calma possibile, con tecniche di rilassamento, meditazioni, esercizi di respirazione e ascoltando musica rilassante. È sconsigliato vedere film o leggere libri che abbiano contenuti violenti.
Per aiutare i bambini ad allontanare la paura del buio, è importante non minimizzare o ridicolizzare la paura con frasi come “Sei grande per avere paura del buio”, ma neanche rendere troppo seria la questione.
Una buona idea è di fare dei giochi che possano aiutare i piccoli a superare la paura, per esempio inventare degli “antidoti” per vincere i presunti “fantasmi” che si celano nel buio, come incantesimi o spray, facendo capire che quei mostri in realtà non esistono, se non nella fantasia.
È importante anche non dire frasi che implicano pensieri negativi riguardo a mostri o fantasmi, come “Se non fai i compiti, arriverà il mostro”, perché aumenterebbero il disagio e la paura. Piuttosto, andrebbero utilizzati frasi positive come “Se fai i compiti, giocheremo insieme”.
Un punto fondamentale per aiutare i bambini con la nictofobia è ascoltarli, lasciarli esprimersi riguardo alle loro paure e aiutarli a osservare le loro emozioni facendo loro delle domande più specifiche.
Bisogna rassicurarli e spiegar loro che è normale avere delle paure, che non bisogna vergognarsi e che parlandone con i genitori si troverà una soluzione. Non bisogna mettere loro fretta, la paura scomparirà gradualmente.
Utili sono anche alcuni libri per bambini che affrontano questa tematica.
Nel frattempo, si possono mettere in atto alcune accortezze, come lasciare una piccola luce accesa la notte o ricordargli di dormire con il suo peluche preferito. Si può tentare l’esposizione camminando al buio per mano con il piccolo e spiegandogli che non ci sono pericoli o esorcizzando la paura con favole che trattano l’argomento del buio con ironia.
Atteggiamenti iperprotettivi, come creare l’abitudine di dormire con il bambino o permettergli sempre di dormire nel lettone sono da evitare.
È meglio rivolgersi a uno psicologo e chiedere aiuto se la paura del buio compromette le attività della vita quotidiana, ha un impatto negativo sul sonno, si associa a una forte ansia o panico o si mettono in atto strategie di evitamento.
La terapia cognitivo-comportamentale, insieme all’esposizione graduale e alle tecniche di rilassamento può aiutare a superare la nictofobia. Il percorso porta allo sviluppo di nuovi modelli di comportamento e all’apprendimento di come cambiare i pensieri disadattivi riguardo all’oscurità in positivi. Al contempo, è utile per contrastare tutti i sintomi associati alla fobia.
La nuova tecnologia della realtà virtuale si sta rilevando utile come integrazione degli approcci psicoterapeutici tradizionali, in quanto facilita i percorsi di cambiamento e migliora i sintomi sia cognitivi che fisici. Il principio è quello dell’esposizione e desensibilizzazione, però avviene attraverso mezzi virtuali. È stato dimostrato che la terapia di esposizione con realtà virtuale è efficace quanto le forme tradizionali di terapia di esposizione dal vivo per il trattamento delle fobie.
Con la VRT, o Virtual Reality Therapy, vengono simulate al computer situazioni difficili da realizzare nella realtà, che i pazienti posso vivere come esperienze realistiche, in modo che possano esporsi gradualmente alle loro paure in maniera sicura. Di recente è stato sviluppato un videogioco chiamato “Dark” che ha un gran potenziale terapeutico per la nictofobia: il giocatore svolgerebbe attività virtuali divertenti in un ambiente domestico sicuro ma oscuro. In questo modo, poco a poco, familiarizzerebbe con il buio e infine supererebbe la paura.

SERGIO  DEMURU

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L’ansia da prestazione è equiparata ad una dipendenza. Quali i rimedi

Per ansia da prestazione si intende un disturbo psicologico che rientra nella cosiddetta “ansia di stato” o, per meglio dire, un insieme di risposte fisiologiche, cognitive e comportamentali che tendono a presentarsi di fronte a una determinata situazione dove ci si aspetta di dover raggiungere un obiettivo che viene percepito come difficile o impossibile.
Chi soffre di ansia da prestazione si preoccupa di fallire un determinato compito ancora prima che sia iniziato. Non solo, le persone con questa tipologia di disturbo tendono a pensare che un singolo fallimento possa essere tradotto in umiliazione o rifiuto nella vita, nel lavoro o durante un rapporto sessuale. Alla base di questa situazione c’è il timore di non essere accettati o di non essere all’altezza delle aspettative. La conseguenza? Un calo dell’autostima e difficoltà nelle relazioni sociali.
Di ansia da prestazione non ne esiste una sola.
Ansia da prestazione relazionale, caratterizzata dalla continua ricerca di stima da parte degli altri; è collegata in modo molto stretto alla paura di non essere all’altezza di una situazione o in generale del giudizio degli altri.
Ansia da prestazione scolastica, che, insieme all’ansia da prestazione lavorativa o sportiva, è caratterizzata dalla paura di non essere in grado di svolgere un determinato compito (un esame o una gara, per esempio) o di non ottenere i risultati sperati nella scuola, sul lavoro o nelle prestazioni sportive.2 Si crea un legame profondo tra la paura di non essere apprezzati a causa dei risultati ottenuti e la propria autostima.Ansia da prestazione sessuale, tra i cui sintomi c’è la paura di deludere il partner nell’intimità. Nonostante quello che si potrebbe pensare, si tratta di un disturbo che colpisce non solo gli uomini, ma anche le donne, non c’è alcuna distinzione di genere.
L’ansia da prestazione è uno stato psicologico che può essere accompagnato anche da sintomi fisici, come:
1) aumento della frequenza cardiaca
2) tensione muscolare
3) senso di disagio
4) stress e irritabilità
5) insonnia
6) problemi digestivi
7) disturbi del desiderio sessuale
In particolare, nel caso dell’ansia da prestazione sessuale, possono essere presenti sintomi come il calo del desiderio o la mancanza di orgasmo.
Le persone che soffrono di ansia da prestazione a volte preferiscono evitare le situazioni che generano disagio, saltando incontri sociali, presentazioni di lavoro o, nei casi più gravi, attuando scelte di vita differenti rispetto a quelle che le renderebbero felici, pur di non dover affrontare questi stati di ansia.1
Evitare le situazioni che provocano ansia, tuttavia, può portare a vivere la propria vita “al ribasso”, senza mai ottenere ciò che davvero si desidera.
Quando ci si rende conto di soffrire di ansia da prestazione, quindi, la cosa giusta da fare è affrontarla.
SERGIO  DEMURU