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L’alcolismo è uno dei problemi sociali più rilevanti

L’alcolismo, definito nel DSM-5 come “uso problematico di alcol”, è una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale. E’ un disturbo caratterizzato dall’incapacità, da parte del bevitore, di astenersi dal consumare alcolici. Chi soffre di alcolismo infatti ha perso il controllo sulla sua abitudine al bere, sviluppando tolleranza. astinenza e dipendenza. L’alcolista tende infatti a bere frequentemente, bere grandi quantità di alcolici, perdendo la possibilità di bere in maniera moderata.
Chi è affetto da alcolismo sviluppa, nel tempo, una serie di gravi sintomi fisici e psicologici oltre a danni nella sfera sociale. I danni fisici più rilevanti colpiscono in particolare il cervello e il fegato, anche se in generale tutti gli organi possono essere danneggiati dall’alcol. In particolare in gravidanza l’abuso alcolico può danneggiare enormemente lo sviluppo del feto.
Da un punto di vista psicologico, chi soffre di alcolismo può manifestare alterazioni della personalità e sviluppo di aggressività. Inoltre può evidenziarsi un deterioramento nelle capacità cognitive (memoria, attenzione, concentrazione, astrazione etc.). Infine l’alcolismo provoca numerosi danni alla vita relazionale, familiare e lavorativa dell’individuo, con frequenti litigi, perdita del lavoro, separazioni etc.
L’organizzazione mondiale della sanità ha stimato che le persone affette da alcolismo nel mondo erano circa 208 milioni (il 4,1% della popolazione mondiale oltre i 15 anni). L’alcolismo è più comune nei maschi e nei giovani adulti (anche se i danni dell’alcol sono più pesanti nel sesso femminile) ed è considerato uno dei problemi sanitari e sociali più rilevanti.
Da molti anni infatti è stato lanciato l’allarme sull’uso e abuso smisurato di sostanze alcoliche, numerosi sono infatti i tentativi per arginare questo problema, soprattutto con campagne di prevenzione e sensibilizzazione. La dipendenza alcolica è un fenomeno talmente grande da essere considerato una delle principali problematiche di salute al mondo. Da uno studio epidemiologico condotto negli USA è emerso che circa il 13% delle persone, ad un certo punto della vita, soddisfa i criteri del DSM per la diagnosi di abuso di alcol e il 5% per la diagnosi di dipendenza da alcol. L’alcolismo è una problematica in crescita e l’abuso alcolico si diffonde soprattutto fra i più giovani.
A peggiorare la situazione è la presenza di numerosi luoghi comuni che sono legati all’alcol. La maggior parte delle persone infatti non è a conoscenza dei potenziali danni legati all’alcolismo. Alcuni dei principali luoghi comuni sono:
L’alcol è una sostanza stimolante (nella realtà l’alcol stimola e deprime allo stesso tempo il sistema nervoso centrale)
L’alcol aiuta le persone a dormire più profondamente (nella realtà l’alcol influenza negativamente la qualità del sonno)
L’intossicazione da alcol è maggiore quando si mischiano diverse bevande alcoliche d(nella realtà ciò che determina l’intossicazione è la quantità effettiva di alcol nel sangue)
Bere caffè fa passare l’intossicazione da alcol (nella realtà il caffè non influenza i livelli di intossicazione)
Le persone con grande forza di volontà non corrono il rischio di sviluppare alcolismo (l’ebrezza da alcol riduce drasticamente la forza di volontà)
In un forte bevitore  i danni al fegato si manifestano prima dei danni cerebrali (nella realtà è possibile che i danni cerebrali anticipino i danni al fegato)
L’astinenza da eroina è più pericolosa di quella da alcol (nella realtà è vero il contrario, l’astinenza da alcol è potenzialmente più letale di quella da oppiacei)
La presenza di numerosi luoghi comuni relativi all’alcol lo rende sicuramente una delle sostanze psicoattive più pericolose, vista la facilità nel reperirlo e i danni a medio lungo termine.
Le principali cause dell’alcolismo sono legate a fattori genetici, ambientali e psicologici. Uno degli aspetti poco conosciuti legati alla dipendenza alcolica è la familiarità; numerosi casi infatti evidenziano una predisposizione genetica a sviluppare alcolismo. Studi condotti su figli di alcolisti infatti hanno mostrato che le probabilità di sviluppare una dipendenza in questi soggetti è maggiore del 30% rispetto alla popolazione generale. Studi più approfonditi hanno preso in considerazione figli di alcolisti adottati da altre famiglie. Anche questi soggetti, non direttamente a contatto con genitori alcolisti durante la crescita, hanno comunque mostrato maggiori probabilità di sviluppare alcolismo. Esiste quindi una predisposizione genetica allo sviluppo di una dipendenza da alcol. Ulteriori studi hanno inoltre evidenziato come l’abuso di alcol in età precoce possa facilitare l’espressione di geni che aumentano il rischio di sviluppare l’alcolismo.
Oltre a cause genetiche esistono cause ambientali. Infatti contesti dove esistono pressioni sociali (ad esempio il gruppo dei pari o i mass media) che invogliano all’utilizzo di alcolici, possano più facilmente portare soggetti a rischio ad abusare di alcol e sviluppare nel tempo una dipendenza. Ma non solo. Vivere all’interno di famiglie problematiche, dove uno o entrambi i genitori è alcolista, facilità lo sviluppo di comportamenti di abuso nei figli adolescenti. Inoltre è stato osservato che l’abuso di alcol in adolescenza potrebbe facilitare lo sviluppo di una dipendenza a causa della degenerazione o dello scorretto sviluppo della corteccia cerebrale. Tale degenerazione porterebbe a sviluppare comportamenti impulsivi, facilitando così le condotte di abuso alcolico.
Ci sono anche cause psicologiche collegate all’alcolismo. L’alcol infatti, per le sue proprietà rilassanti, spesso viene utilizzato come “terapia impropria” da coloro che soffrono di forte stress, disturbi d’ansia, depressione o anche patologie psichiatriche più gravi come il DOC, la schizofrenia e il disturbo bipolare. Anche essere stati vittime di traumi nell’infanzia è un fattore che facilità lo sviluppo di una dipendenza alcolica così come lo è sviluppare un disturbo di personalità. In questi casi quindi l’alcol può essere ricercato come terapia impropria per ridurre sintomi psicologici negativi. In situazioni simili una corretta terapia farmacologica o un intervento psicologico adeguato potrebbero scongiurare la comparsa di comportamenti da abuso.
SERGIO  DEMURU

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Gioco d’azzardo. Quando diventa patologico e come intervenire

Il Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) è un disturbo mentale, riconosciuto tale dalla comunità scientifica internazionale nel 1980, quando l’associazione degli psichiatri americani ha ritenuto opportuno inserirlo tra i disturbi psichici nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.
La caratteristica principale del GAP è un “comportamento persistente, ricorrente, e maladattivo di gioco d’azzardo che compromette le attività personali, familiari, o lavorative”.
Il disturbo da gioco d’azzardo è a tutti gli effetti una dipendenza patologica, spesso nascosta, scoperta solo dai familiari quando ormai la situazione finanziaria è altamente compromessa.
L’ormai vastissima proposta di gioco d’azzardo, con il gioco on line, e le scarse informazioni sulle realistiche probabilità di vincita stanno rendendo questo fenomeno un problema di salute pubblica di dimensioni sempre più rilevanti.
Quali sono le caratteristiche del giocatore d’azzardo patologico?
Quella dei giocatori è una categoria eterogenea, così come del resto lo è anche il percorso che porta allo sviluppo della dipendenza.
In letteratura sono descritte tre diverse fasi che il paziente attraversa nello sviluppo del Gioco d’Azzardo Patologico:
1) fase di vincite o fase vincente
2) fase di perdite o perdente
3) fase della disperazione
Nella storia di un giocatore patologico è sempre rintracciabile una fase vincente: il paziente ha avuto una grossa vincita, è euforico, gioca per divertirsi più che per guadagnare. “Il soggetto sente che può controllare il gioco, che può influenzare il fato, che continuerà a vincere”.
Tuttavia, questa fase è quasi sempre seguita da una serie di perdite al gioco e il giocatore cerca di recuperare i soldi giocando somme di denaro sempre maggiori, iniziando a contrarre debiti di gioco (spesso mentendo ai familiari), arrivando a compiere anche azioni illegali, manifestando tutti sintomi tipici della dipendenza: sta male se non gioca, è irritabile, ansioso, aggressivo, pensa solo al gioco smettendo di interessarsi a tutto il resto, contrae debiti, mente, deve giocare sempre di più e con somme sempre maggiori di denaro.
Qui subentra la cosiddetta fase della disperazione: la persona si rende conto che probabilmente non vincerà più, è consapevole dei disastri provocati dal gioco ma nonostante questo non riesce a smettere di giocare, e spesso, l’unica via di ‘uscita’ sembra essere solo il suicidio.
Il giocatore d’azzardo, presenta tipicamente alcune “distorsioni cognitive”, pensa cioè di avere un’influenza sul gioco d’azzardo, attribuendo le perdite e le vincite eventuali a fattori del tutto errati, senza tenere conto del fatto che il risultato del gioco è interamente determinato dal caso e non all’abilità del giocatore.
Tra gli aspetti legati alla patogenesi del disturbo ci sono anche meccanismi comportamentali di condizionamento che facilitano la caduta del pazienti nella dipendenza patologica, oltre ad una tipologia di soggetti che presentano alcuni aspetti di natura biologica, quali impulsività, deficit attentivi, antisocialità e ricerca di di sensazioni emotive intense. Tra quest’ultima tipologia di giocatori si rileva spesso scarsa tolleranza delle frustrazioni, tendenza al suicidio ed è frequente anche l’abuso di alcool e droghe. Esistono inoltre delle differenze tra i sessi: gli uomini sono più spesso dei giocatori patologici o compulsivi, mentre le donne più giocatrici per fuga; inoltre, mentre gli uomini iniziano a giocare più spesso in tarda adolescenza, con una progressione verso un gioco patologico più lenta; le donne cominciano a giocare in età adulta e spesso hanno un’evoluzione più rapida verso il GAP. Esistono anche delle differenze per quanto concerne il tipo di gioco: i maschi tendono a prediligere blackjack, poker, altri tipi di giochi con carte, dadi e scommesse su eventi sportivi; le donne sono più spesso coinvolte in giochi non strategici, con minore coinvolgimento interpersonale, come lotterie o slot machines.
SERGIO  DEMURU

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Dipendenze dai dolci. Come combatterle per evitare il rischio obesità e diabete

Gli zuccheri fanno parte dell’alimentazione quotidiana e costituiscono la principale fonte di energia per l’organismo. Conosciuti anche con il nome di carboidrati, sono presenti in quantità variabili nella stragrande maggioranza dei cibi. Insieme ai grassi, gli zuccheri rappresentano il primo bersaglio da colpire per perdere peso. Ma attenzione, è necessario saperli distinguere e soprattutto ricavarli nella giusta dose dai cibi. Esistono, infatti, zuccheri che possono essere definititi “cattivi”, ma anche zuccheri identificati come “buoni”, come quelli che si trovano nella frutta. Imparare a distinguerli, dunque, diventa necessario per evitare carenze di nutrienti fondamentali per la salute del nostro organismo. Da alcuni anni si parla di dipendenza da zuccheri, un fenomeno molto diffuso divenuto oggetto di numerosi studi scientifici, provocato dalla cattiva alimentazione e indicato come una delle cause principali di obesità. In questo testo cercheremo di imparare a distinguere gli zuccheri benefici da quelli da evitare e a combattere la dipendenza da zuccheri. Il termine zucchero viene mentalmente associato al classico zucchero bianco che viene utilizzato quotidianamente in cucina per dolcificare il caffè o preparare le torte. I granelli bianchi di cui ci si serve a colpi di cucchiaino in realtà vengono identificati come saccarosio. Da un punto di vista chimico gli zuccheri (chiamati anche carboidrati o glucidi) hanno tanti nomi quante sono le loro composizioni, semplici e complesse. Lo zucchero di cui proprio non si può fare a meno è il glucosio, che rappresenta la principale fonte di energia per l’organismo. Il cervello ne è l’organo più ghiotto dal momento che i neuroni lavorano proprio grazie a esso. Il glucosio, per esempio, si trova nella frutta, accompagnato dal fruttosio. Gli zuccheri della frutta, a meno che non ci siano esigenze particolari (allergie, intolleranze), sono molto importanti per l’organismo. Bisogna infatti tenere a mente che la frutta, oltre ad essere fonte di zuccheri buoni che danno energia, è anche ricca di sostanze nutritive fondamentali per il corpo e la sua salute. Inoltre, gli zuccheri della frutta sono naturali, ovvero si trovano naturalmente nel prodotto e non sono stati realizzati in laboratorio attraverso un processo di raffinazione. Data la diffusa presenza di glucidi negli alimenti e la varietà di zuccheri disponibili in commercio è possibile sostituire il comune zucchero bianco da tavola con alternative altrettanto dolci ma meno dannose. Vengono consigliati come sostituiti ideali lo zucchero di canna, preferibilmente integrale, e il miele. Mentre è stato recentemente sfatato il mito del fruttosio come alternativa sana al saccarosio. Soprattutto in ambito sportivo viene impiegato il ribosio, noto per il suo effetto antiossidante. Raramente, si ricorre al d-galattosio, presente nel latte ma spesso causa di intolleranze alimentari, e all’isomaltulosio, che riporta un basso indice glicemico. Tra i dolcificanti meno calorici, e attualmente meno comuni, vengono annoverati la stevia, ricavata dall’omonima pianta, e la melassa, un liquido brunastro ottenuto dalla canna da zucchero o dalla barbabietola. Ciò che preoccupa gli esperti non è tanto la presenza degli zuccheri in sé quanto l’assunzione di una dose spropositata di zuccheri raffinati che provoca una vera e propria dipendenza. L’industria alimentare fa largo uso di zuccheri aggiunti e artificiali, dunque realizzati attraverso un processo chimico, per la produzione di cibi dolci e salati. Questi sono particolarmente nocivi per la salute, perché forniscono solo calorie e non sono accompagnati ad altri nutrienti che fanno bene all’organismo. Inoltre, vengono ingeriti inconsapevolmente (si parla anche di zuccheri “nascosti”), per di più in grosse quantità. Il consumo di certe bevande zuccherate, il ricorso agli energy drink per mantenersi attivi o l’assunzione di barrette dolci come spuntino possono causare, se avvengono con una certa frequenza, una dipendenza da zuccheri. Un po’ per praticità e un po’ per golosità, il consumo eccessivo di cibi confezionati e, di conseguenza, l’assimilazione di dolcificanti artificiali, sta compromettendo seriamente lo stato di salute di moltissime persone.
Lo zucchero agisce come una droga: più lo consumi, più lo consumeresti. È stato infatti dimostrato come l’ingestione di saccarosio in dosi elevate causi un aumento della dopamina, un neurotrasmettitore associato al piacere e alla ricompensa. Nel momento in cui si assumono alimenti ricchi di zucchero il cervello reagisce con una sensazione di appagamento a cui si associa anche un senso di sazietà momentaneo. Questo meccanismo sviluppa una condizione di dipendenza e assuefazione tali da scatenare una voglia di zuccheri sempre maggiore.
Ma quali sono i rischi per l’organismo? A cosa si va incontro se non si ritorna a una vita sana e regolare?
La presenza di glucosio nel sangue viene regolata da due ormoni, insulina e glucagone, che all’occorrenza abbassano e alzano l’indice glicemico mantenendone costante il livello. Il consumo eccessivo di zuccheri, prolungato nel tempo, è causa di disfunzioni serie che possono condurre all’obesità e al diabete.
La dipendenza da zuccheri può causare tanti altri danni: la comparsa del colesterolo cattivo e l’aumento dei trigliceridi, con il rischio di scompensi cardiaci, calcoli renali, problemi gastrointestinali, emicrania, allergie, vertigini, carie.
Non vanno sottovalutate neanche tutte quelle alterazioni dello stato emotivo che più difficilmente vengono collegate all’alimentazione. L’eccesso di zuccheri può infatti comportare: aumento di ansietà, iperattività, difficoltà nella concentrazione, riduzione della capacità di apprendimento, fino ad arrivare alla depressione.
Un elenco così lungo e allarmante di effetti negativi dovrebbe portare tutti rivedere le proprie scelte alimentari, dentro e fuori casa.
Se vi siete identificati nella dipendenza da zuccheri e siete consapevoli di abusare dei cosiddetti cibi spazzatura, potete sempre scegliere di cambiare rotta.
La prima cosa da fare è setacciare la dispensa e il frigorifero per liberarvi dei prodotti incriminati. Non avendoli più a portata di bocca sarà minore la possibilità di cadere in tentazione. Concentratevi sulla genuinità dei prodotti e quando siete tra gli scaffali del supermercato spendete qualche minuto del vostro tempo a leggere le etichette. Il tempo impiegato a scegliere prodotti sani non è mai tempo perso. Per prevenire e contrastare la dipendenza da zuccheri dovete diventare dei consumatori consapevoli e disciplinati.
Per le prime settimane sarà difficile liberarsi dal desiderio spasmodico di dolciumi o rinunciare a un aperitivo alcolico. Vi ritroverete a gestire voglie improvvise di dolci, momenti di tristezza e mal di testa. Ma quando, fin da subito, avrete modo di verificare i benefici di una sana alimentazione e di uno stile di vita regolare, vedrete che la tentazione di tornare ad una dieta ricca di zuccheri si presenterà sempre meno. Per riprogrammare la vostra alimentazione è bene partire dai prodotti che il territorio offre, puntando sulla qualità dei cibi freschi. È ormai noto che la dieta mediterranea è un’ottima alleata per la salute: frutta e verdura, ma anche cereali, legumi, latte e latticini, carne e pesce, tutti bilanciati all’interno di un regime alimentare che ha nel benessere fisico, ma anche psicologico, il suo unico obiettivo.
Inoltre, la dieta mediterranea è stata indicata come la più adatta per combattere l’astinenza da zucchero.
Il momento della colazione è forse quello in cui sentirete maggiormente il bisogno di fare scorta di zuccheri, essendo il pasto che ci fornisce le energie per dare il via a una nuova giornata. Per accompagnare la vostra tazza di tè o caffè, rigorosamente non dolcificati (o al massimo “zuccherati” con un dolcificante naturale come la stevia o il miele), potete scegliere del muesli o delle fette biscottate integrali sulle quali spalmare un leggero strato di marmellata a ridotto contenuto di zuccheri. Potete completare il vostro primo pasto del giorno con uno yogurt magro rigorosamente senza zuccheri aggiunti, della frutta poco zuccherina, come fragole e lamponi, o con una spremuta fresca di arancia o di pompelmo per fare anche il carico di vitamine e sali minerali.
Potete sbizzarrirvi col consumo di verdura e frutta di stagione, che garantiscono già di per sé un buon apporto di principi nutritivi. Il vero vantaggio di questi cibi è che, oltre a contenere naturalmente zuccheri non raffinati, forniscono anche vitamine, fibre e sali minerali. Per un ulteriore rifornimento di energia potete sempre spiluccare della frutta secca.
Altri alimenti, altamente digeribili, da cui trarre la vostra dose quotidiana di zuccheri sono: le radici, per esempio le barbabietole, i semi e le patate, in particolare le patate dolci che hanno un indice glicemico più basso di quelle più comunemente utilizzate in cucina. Per non farvi mancare ulteriori fibre potete optare per i derivati integrali dei cereali (riso, orzo e farro).
Via libera anche per i legumi, per il pesce e per la carne bianca, che riducono il rischio di tutti quei danni legati proprio all’eccesso di zuccheri (obesità e diabete in primis).
In cima alla lista dei cibi vietati troviamo invece tutti quei prodotti industriali che contengono dolcificanti di vario genere (come merendine, snack confezionati, ma anche cibi precotti e bibite), l’alcol e gli affettati (fatta eccezione per qualche fettina di bresaola).
Dopo alcune settimane di severa disintossicazione potete invece reintrodurre gradualmente sulla vostra tavola la pasta, il pane e i latticini, senza eccedere però nelle quantità. Tenete sempre a mente la piramide alimentare della dieta mediterranea, dove alla base si trovano i cibi da consumare in più dosi al giorno e all’apice quelli da assumere con moderazione (1-2 volte a settimana). Di seguito l’elenco dei cibi per “scalini”, dalla base al vertice:
1) verdura, frutta, cereali e derivati;
2) latte e derivati, frutta a guscio, olio, aglio, cipolla, erbe e spezie;
3) pesce, legumi, carne bianca, uova, formaggi;
4) carne rossa, salumi, dolci.

SERGIO   DEMURU

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Salute 2.0

Psicologia e prevenzione delle dipendenze

Obiettivo principale della prevenzione delle dipendenze è quello di aiutare le persone ad evitare o posticipare l’uso di sostanze psicoattive, o se hanno già iniziato, impedire l’insorgenza di disturbi causati dal consumo delle stesse (uso dannoso o dipendenza). Lo scopo generale della prevenzione dell’uso di sostanze, tuttavia, è molto piú ampio e consiste nel garantire lo sviluppo sano e sicuro del bambino e del ragazzo per realizzare i propri talenti e potenzialità diventando membri attivi della comunità e della società a cui si appartiene. Una prevenzione efficace contribuisce significativamente alla partecipazione attiva del bambino, giovane o adulto nella propria famiglia, scuola, posto di lavoro o comunità. Per estensione questa definizione vale per tutte le dipendenze, comprese quelle comportamentali come per esempio il gioco d’azzardo. Nello specifico, per azioni volte ad “impedire l’insorgenza di disturbi” causati dai vari comportamenti di dipendenza si intendono anche quegli interventi di prevenzione ambientale che mirano ad evitare che, in presenza di un comportamento a rischio, questo si trasformi in vera e propria dipendenza. Il termine “prevenzione” nasce in ambito medico-sanitario e richiama l’idea di “evitare”, “ostacolare”, “impedire” l’insorgere di un evento dannoso. In quest’ambito lo studio causale e lineare dei fenomeni è fondamentale per prevenire ed evitare la comparsa di possibili conseguenze negative. Da qui ha preso le mosse anche l’idea di prevenzione in ambito psicosociale che durante i primi anni del ventesimo secolo ha iniziato ad applicare questo tipo di approccio sulle cause di insorgenza dei disturbi mentali, andando ad agire sui fattori ambientali considerando in modo deterministico la stretta relazione tra gli stessi e i comportamenti problematici.

SERGIO   DEMURU

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Alcol, fumo e incidenti stradali, questo e altro nelle abitudini dei giovani e giovanissimi

Alcol, fumo e incidenti stradali, questo e altro nelle abitudini dei giovani e giovanissimi al centro dell’indagine sulle dipendenze patologiche diffuse tra i ragazzi italiani, illustrata in Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza dal presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo. Qualche numero. Nel 2020, il 18,2% dei ragazzi e il 18,8% delle ragazze di 11-17 anni hanno consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno. Negli ultimi anni si è registrata per i ragazzi una progressiva riduzione del consumo nell’anno; per le ragazze, invece, si è osservato – soprattutto a partire dal 2018 – un progressivo aumento, che ha allineato i livelli di consumo a quelli dei coetanei maschi.  In particolare, nel 2020, si è registrato tra le ragazze un aumento di circa 2 punti percentuali rispetto al 2019.  Il consumo di bevande alcoliche tra i ragazzi è prevalentemente un consumo occasionale (17,6%) e spesso avviene lontano dai pasti (8,7%), ha spiegato il presidente dell’Istat. Tra le bevande alcoliche maggiormente consumate in questa fascia d’età, si segnala, tra i maschi, principalmente la birra (14,3%) e gli aperitivi alcolici/amari/superalcolici (12,4%); tra le ragazze, gli aperitivi alcolici/amari/superalcolici (13,5%), seguiti dalla birra (12,2%).  Blangiardo ha ricordato che le indicazioni scientifiche del ministero della Salute considerano il livello di consumo zero come livello di riferimento per la popolazione di età inferiore ai 18 anni di entrambi i sessi, per cui “è assolutamente rilevante il fatto che, nella fascia di età 11-17 anni, il 18,5% abbia consumato almeno una bevanda alcolica nell’anno, valore che dovrebbe invece tendere allo zero”. In questa fascia d’età, inoltre, il 4,3% ha le abitudini più rischiose perché pratica un consumo giornaliero di bevande alcoliche e perché ha l’abitudine al binge drinking cioè alla assunzione consapevole di alcol finalizzata all’ubirachezza specialmente diffusa tra gli adolescenti, e/o al consumo fuori pasto almeno settimanale.  Preoccupante anche il fatto che gli episodi di ubriacatura raggiungono già tra i 16-17enni livelli quasi allineati a quelli medi della popolazione (6,5% rispetto al 7,6% della media della popolazione di 11 anni e più), con livelli simili tra ragazzi e ragazze.Da segnalare infine che tra i giovanissimi di 11-17 anni è più frequente, rispetto alle altre fasce di età, l’abitudine ad effettuare l’ultimo episodio di binge drinking in discoteca o nei locali. In questa fascia d’età, se si considera soltanto chi frequenta assiduamente (più di 12 volte nell’anno) le discoteche, la quota di quanti dichiarano l’ultimo episodio di ubriacatura in discoteca o night arrivava nel 2019 al 54%. Nel 2019 gli incidenti stradali con lesioni a persone sono stati 223.400, un numero sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente: per il 38,2% sono legati alla guida distratta, al mancato rispetto delle regole di precedenza o semaforiche e alla velocità troppo elevata, ma aumentano i casi per la guida in stato di ebrezza alcolica che ogni 100 incidenti passano da 1,2 nel 2001 a 4,0 nel 2019. Passano, invece, da 0,1 a 1,4 quelli legati alla guida sotto l’effetto di droghe.   Focalizzando l’attenzione sui conducenti giovani in età 15-24 anni, si osserva un aumento dei casi per la guida in stato di ebbrezza alcolica nel complesso (ogni 100 incidenti stradali che hanno coinvolto almeno un conducente in età 15-24 anni), che passano da 0,6 del 2001 a 1,3 del 2019 (per 100 incidenti). Tra i 15-24-enni, la classe di età per la quale si registrano i livelli più elevati dell’indicatore è quella 20-24 anni, per la quale i valori sono compresi tra 0,8 nel 2001 e 1,7 nel 2019 (per 100 incidenti). Più contenuti i valori dell’indicatore nelle fasce di età 15-17 (0,3 nel 2019) anni e 18-19 anni (0,8 nel 2019). Per quanto concerne la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, per la classe di età 15-24 anni, l’indicatore sale da 0,07 del 2001 a 0,63 del 2019, con un aumento consistente dal 2015 al 2019.  Più elevato il livello dell’indicatore per la fascia di età 20-24 anni (0,7 nel 2019), rispetto alle classi 15-17 (0,2) e 18-19 (0,6). Per le circostanze correlate alle droga i numeri sono più contenuti e più sensibili alle oscillazioni, in particolare se si analizzano le sottoclassi di età. La proporzione dei conducenti giovani, in età 15-24 anni, che causano incidenti stradali in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti sul totale, è pari circa al 20% per la guida sotto effetto di alcol e al 27% per la guida sotto effetto di droghe. Il restante 80% dei conducenti coinvolti in incidenti sotto l’effetto di alcol e 73% di stupefacenti riguarda prevalentemente i conducenti over 24 anni.   Nel 2020 è pari al 6,3% la quota di giovani di 14-17 anni che hanno abitudine al consumo di tabacco. Tra i 18-24 anni tale quota sale al 21,9%. Si osserva nel tempo una diminuzione della quota di consumatori (erano l’8% nel 2010 tra i giovani di 14-17 anni e 26,8% tra quelli di 18-24 anni), effetto che però è compensato dall’uso della sigaretta elettronica. L’utilizzo della sigaretta elettronica – ha spiegato – negli ultimi anni si è andato via via affermando, raggiungendo nel 2020, tra i giovani di 14-24 anni, il 3,5% dei consumatori (la quota è più elevata tra i maschi di 18-24, dove raggiunge il 6%; tra i giovani di 14-17 anni la quota è pari all’1,7%).Inoltre, per quanto riguarda il fumo i comportamenti dei genitori influenzano spesso quelli dei figli. Infatti, il 35,1% dei ragazzi e dei giovani di 14-24 anni che vivono in famiglie dove entrambi i genitori sono fumatori hanno anche loro l’abitudine al fumo, rispetto all’11,5% dei giovani che vivono in famiglie con nessun genitore fumatore.

SERGIO  DEMURU

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Cos’è la “new addiction”.

Quando si parla di dipendenze il primo pensiero va alle droghe, all’alcool, all’uso di sostanze, ma esiste un altro gruppo di dipendenze legate a oggetti o attività non chimiche. Sempre più spesso si parla delle nuove dipendenze  “new addiction”, ovvero di quei comportamenti socialmente accettati, tra i quali dipendenza dalle relazioni affettive, dallo shopping, dal gioco d’azzardo, dal sesso, dal lavoro e,  che, ripetuti ossessivamente, fino all’estremo, smettono di svolgere il  loro ruolo sociale per dominare l’essere umano. Internet e le nuove tecnologie, sono settori in continua crescita ed evoluzione e rappresentano realtà che influenzano notevolmente, non solo la vita quotidiana, ma anche la psicologia ed il comportamento degli individui. L’ambulatorio delle “New Addiction” nasce con l’idea di aiutare giovani, giovanissimi e adulti spesso preda di un uso eccessivo e scorretto delle nuove tecnologie come smartphone (nomofobia),  tablet e pc, con conseguenti rischi sul fronte dello sviluppo cognitivo e della salute psichica. Il percorso di cura è rivolto anche ai giocatori d’azzardo e si caratterizza nelle classiche fasi di accoglienza e presa in carico, assessment, lavoro sulla motivazione, trattamento ed after care. Nel 2013 il DSM V sancisce definitivamente l’assimilazione del Gioco d’Azzardo Patologico (GAP) con le dipendenze patologiche, lo inserisce nella categoria “Disturbi da dipendenza e correlati all’uso di sostanze” nella sottocategoria “Disturbi non correlati all’uso di sostanze” e lo definisce precisamente non più “Gioco d’azzardo patologico”, ma “Disturbo da gioco d’azzardo”. Tale classificazione secondo il DSM V è giustificata dalla evidenza che il gioco d’azzardo è in grado di attivare il “reward system” al pari delle droghe, generando sintomi del tutto sovrapponibili a quelli indotti da sostanze. “Mi ritiro” (Hikikomori  in giapponese) è un termine che viene utilizzato per descrivere adolescenti che sono soliti chiudersi nella loro stanza, immergendosi nel mondo del web, nei videogiochi, limitando qualsiasi contatto con il mondo esterno, escludendo anche i familiari. Ad incoraggiare il ritiro nella rete solitamente è il vissuto di vuoto e di solitudine esperito sempre più frequentemente dai giovani e la difficoltà ad investire in relazioni ed esperienze concrete della vita reale; di fatto tali vissuti spingono gli adolescenti ad alienarsi nei giochi virtuali, dove possono provare sensazioni di sdoppiamento o ricostruzione della propria identità, e vivere ruoli che nella vita non appartengono loro. Si può parlare di dipendenza quando la maggior parte del tempo e delle energie vengono spesi nell’utilizzo della rete, creando in tal modo menomazioni forti e disfunzionali nelle principali e fondamentali aree esistenziali, come quella personale, relazionale, scolastica, familiare, affettiva.

SERGIO  DEMURU