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Cos’è il cocaetilene e perchè è pericoloso.

Il cocaetilene è una sostanza farmacologicamente attiva che si forma nel fegato quando una persona assume congiuntamente alcol (etanolo) e cocaina.
Il cocaetilene amplifica gli effetti farmacologici sia dell’alcol sia della cocaina, perché blocca la ricaptazione (ovvero il processo con cui vengono inattivati i neurotrasmettitori) della dopamina nel cervello e, di conseguenza, produce maggiori effetti euforici legati sia alla cocaina che all’alcol  ed aumenta la possibilità che la persona continui ad abusare di entrambe le sostanze.
Secondo il Journal of Medical Toxicology  Neurotoxic and cardiotoxic effects of cocaine and ethanol, il cocaetilene ha alcuni effetti tossici indipendenti dai suoi precursori, alcol e cocaina.
La cocaina e l’alcol vengono rimosse dal flusso sanguigno e metabolizzate nel fegato per essere eliminate, in genere attraverso l’urina. E proprio nel fegato però che viene prodotto il cocaetilene durante il processo metabolico della cocaina in presenza dell’alcol.
Più precisamente, si pensa che il cocaetilene si sviluppi nel fegato a causa di un’alterazione del metabolismo della cocaina causata dalla concomitante presenza di alcol. I ricercatori ritengono che il cocaetilene si produca circa due ore dopo l’assunzione contemporanea di alcol e cocaina e, quando il fegato tenta di eliminare il cocaetilene, l’alcol presente nel sistema ne rallenti il processo, consentendo così al cocaetilene di entrare nel flusso sanguigno con conseguenti possibili danni ad un certo numero di tessuti e organi.
Il cocaetilene è significativamente (circa +30%) più tossico della cocaina da sola. Una volta prodotto, rimane nell’organismo fino a tre volte più a lungo della cocaina, con conseguente aumento del potenziale di effetto tossico. C’è un aumento del rischio di problemi cardiovascolari: il cocaetilene aumenta la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna ancor più della cocaina e può compromettere la capacità del muscolo cardiaco di contrarsi. Lo stesso cocaetilene può anche comportare un aumento del rischio di ictus rispetto agli individui che fanno separatamente uso di alcol o cocaina. Conseguente danneggiamento del potenziale danno epatico: a causa della sua significativa tossicità, il cocaetilene aumenta la possibilità di sviluppare danni al fegato rispetto all’uso di alcol o cocaina da soli. Gli individui che consumano congiuntamente cocaina ed alcol spesso sono protagonisti delle cosiddette abbuffate alcoliche (binge drinking) cui sono associati tutta una serie di problemi tra cui danni al fegato, problemi cardiovascolari, danni ai nervi, avvelenamento da alcol, scarsa capacità di giudizio e uno sviluppo più rapido di una grave dipendenza dall’alcol.
Aumento dell’impulsività: il cocaetilene aumenta sia i livelli di dopamina che di serotonina nel cervello e quindi aumenta il rischio che un individuo sviluppi comportamenti impulsivi. L’emivita plasmatica di cocaetilene, che indica il tempo necessario per la sua eliminazione dall’organismo, è 2 – 3 volte superiore alla cocaina perciò la sua concentrazione è difficile da prevedere, perché tutto dipende dalla dose di ciascun precursore (cocaina ed alcol) e dai tempi della loro assunzione.
In definitiva, il ruolo svolto dal cocaetilene negli avvelenamenti acuti e morti associate all’abuso di cocaina non deve essere sottovalutato. Nella medicina forense infatti ogni volta che i campioni di sangue risultano positivi sia per l’alcol che per la cocaina, si raccomanda una determinazione quantitativa specifica anche del cocaetilene al fine di addivenire ad una corretta interpretazione del caso.
È importante che i consumatori di cocaina e di alcol conoscano i rischi conseguenti alla associazione delle due sostanze per evitarla e non incorrere in seri pericoli per la salute; in particolare, chi usa cocaina generalmente sa che la disinibizione dovuta all’assunzione di alcol aumenta la disponibilità ad assumere anche cocaina, il che favorisce le reazioni metaboliche sopra descritte e l’aumento dei rischi di tossicità.
Purtroppo il poliabuso è molto comune nei soggetti con problemi di dipendenza.
SERGIO  DEMURU

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Quando normali attività quotidiane, come lavorare, fare acquisti, navigare su internet o andare in palestra, si trasformano in una dipendenza che può condizionare lo stile di vita e creare grande sofferenza.

I sistemi internazionali di classificazione delle patologie mentali da tempo riconoscono il gioco d’azzardo patologico come un disturbo e lo collocano all’interno della più ampia classe dei disturbi da “discontrollo degli impulsi”.
Simili al gioco d’azzardo patologico per modalità di sviluppo, sintomatologia e conseguenze che provocano, sono le così dette “patologie emergenti”: la dipendenza da sesso, gli acquisti compulsivi (o shopping compulsivo), la dipendenza da internet, il trading on line, la sindrome da “molestie assillanti” (stalking), la bigoressia. In realtà non si tratta veramente di nuovi disturbi, ma di nuove forme di dipendenza e qualsiasi comportamento “normale”, persino lavorare o avere una relazione affettiva, può essere vissuto con modalità patologiche.
Il gioco d’azzardo patologico è presente nell’1-3% della popolazione adulta, è più comune tra gli uomini che tra le donne (rapporto 3 a 2), compare spesso in adolescenza ed ha in genere un’evoluzione cronica. La dipendenza da sesso colpirebbe (il condizionale in questi casi è d’obbligo) il 5-6% della popolazione generale con un rapporto tra uomini e donne di 5 a 1, un’età d’esordio compresa tra i 26 ed i 50 anni e una maggiore frequenza  tra i single rispetto a chi ha un partner fisso. Di acquisti compulsivi soffrirebbe il 2-8% della popolazione, con una netta prevalenza tra le donne (80-90% dei casi). Non sono ancora disponibili dati affidabili sulla diffusione della dipendenza da internet, del trading on line, della sindrome da “molestie assillanti” e della bigorexia.
Qualsiasi sia l’oggetto della loro “dipendenza”, le persone che soffrono di uno di questi disturbi:
1) avvertono un desiderio incoercibile (craving) di mettere in atto il comportamento desiderato;
2) continuano a farlo pur rendendosi conto delle conseguenze (fisiche, psicologiche, familiari, sociali, lavorative, economiche, legali) negative che ne derivano
3) tentano di nasconderlo agli altri ricorrendo a diversi espedienti come minimizzare o dare false giustificazioni
4) rivolgono tutte le loro energie a trovare il modo di realizzare ciò che desiderano
5) quando incontrano un ostacolo avvertono uno stato di ansia o di agitazione che ricorda le crisi di astinenza
con il tempo sviluppano una tolleranza e per ottenere lo stesso grado di soddisfazione devono aumentare l’intensità dello stimolo o la frequenza dei comportamenti Questi meccanismi comuni si concretizzano ovviamente con modalità differenti a secondo del tipo di dipendenza.
Nel gioco d’azzardo patologico c’è una forte spinta al gioco che gradualmente diventa il principale motivo di vita e in caso di impedimento pratico a “scommettere” compaiono agitazione o irritabilità; per raggiungere lo stato di piacere desiderato è necessario aumentare un po’ alla volta il valore o la frequenza delle scommesse. Nelle forme più gravi la persona, oppressa da problemi personali, familiari, lavorativi, finanziari e legali, va incontro a vere e proprie fasi di depressione con idee e tentativi di suicidio (17-24% dei casi) oppure cerca rifugio nell’alcol o nelle droghe finendo però con il rendere ancora più complicata la situazione.
Nella dipendenza da sesso la sessualità viene vissuta in modo ossessivo tanto da diventare un’esigenza primaria per la quale la persona è disposta a sacrificare tutto: salute, famiglia, amici, lavoro. Le pratiche a cui può fare ricorso sono varie e comprendono la masturbazione, i rapporti con persone anonime e/o prostitute, l’esibizionismo, il voyeurismo, il sado-masochismo, l’acquisto di materiale pornografico e l’utilizzo di servizi erotici per telefono o via internet. Le complicanze più frequenti sono le malattie mediche (infezioni sessualmente trasmesse, ipertensione, ulcera, disturbi del sonno), i disturbi sessuali (anorgasmia, eiaculazione precoce o ritardata…) e i problemi legali (reati a sfondo sessuale come esibizionismo, pedofilia, stupro) familiari (deterioramento dei rapporti con il coniuge o con i figli) e sociali (compromissione lavorativa ed economica).
Negli acquisti compulsivi la persona avverte la “necessità” di comprare oggetti spesso inutili o varianti di oggetti già posseduti come orologi, scarpe o borse, che peraltro non sono sempre di proprio gusto. Le somme spese superano le disponibilità economiche per cui ne consegue la tendenza a contrarre debiti. Lo stato emotivo che accompagna l’acquisto segue un preciso andamento: prima c’è una condizione di eccitazione, poi compaiono la sensazione di non avere più il controllo sul proprio comportamento e un’alterata percezione del tempo che sembra “dilatato”, “rallentato”, infine subentrano avvilimento e idee di colpa.
Per quanto non riconosciuta come una vera e propria patologia, anche la navigazione su internet può assumere i caratteri del comportamento ossessivo con la tendenza a trascorrere numerose ore soprattutto sui social e sulle chat e difficoltà a staccarsene. In casi estremi questo comportamento non virtuali, porta all’isolamento, riduce la capacità di applicazione sul lavoro o a scuola e crea, per un’eccessiva stimolazione sensoriale, difficoltà di attenzione. Il giocare in borsa tramite internet (trading on line) in alcuni casi assume caratteristiche simili a quelle del gioco d’azzardo patologico: la persona vive un’esperienza di rischio soggettivo che si accompagna ad una transitoria alterazione del contatto con la realtà (“dissociazione”) e ad una sensazione di “potere” derivante dall’operare in prima persona davanti alla consolle.
Può causare problemi economici, familiari e sociali.
La sindrome da “molestie assillanti” (più nota come stalking che letteralmente significa “appostarsi”) consiste in ripetuti tentativi di mettersi in contatto con una persona, per telefono, per posta o attraverso pedinamenti, che vengono vissuti come fastidiosi o intrusivi da chi li subisce. Questi’ultimo, preoccupato per l’insistenza e per l’impossibilità di bloccare le attenzioni non volute, può sviluppare sintomi di ansia o depressivi fino a un vero e proprio disturbo da stress post-traumatico.
La bigoressia colpisce quasi esclusivamente uomini i quali, malgrado l’evidenza contraria, si percepiscono gracili, minuti e con la massa muscolare poco sviluppata. Di conseguenza, rivolgono una patologica attenzione al proprio aspetto, controllano continuamente le dimensioni della muscolatura, si sottopongono a esercizi fisici prolungati e diete iperproteiche, abusano di anabolizzanti.
Ci sono scarse informazioni circa le possibilità di cura anche perché agli specialisti giungono solo i casi più complessi in cui sono contemporaneamente presenti anche altri disturbi psichiatrici, come ansia e depressione, o abuso di alcol o di sostanze. Le modalità di trattamento ricalcano quelle delle tossicodipendenze (gruppi di Auto-Aiuto per pazienti e familiari, riabilitazione, comunità terapeutiche) a cui è spesso utile associare una psicoterapia cognitivo comportamentale  e/o un trattamento farmacologico da decidere di volta in volta (antidepressivi serotoninergici in caso  depressione o ansia, stabilizzatori dell’umore in caso di impulsività o intensa variabilità dell’umore).
SERGIO  DEMURU

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Il lavoro al computer danneggia la vista?

Pc, tablet e smartphone sono ormai presenti in maniera costante nella nostra vita quotidiana. Molte persone trascorrono gran parte della loro giornata lavorativa davanti a schermi luminosi e questo tempo prolungato ha conseguenze sul benessere fisico e sulla salute degli occhi. Gli esperti di Clinica Baviera Italia, istituto specializzato nella correzione dei difetti visivi, ci tengono a chiarire che per prevenire qualsiasi fastidio o il peggioramento della vista basta evitare alcuni comportamenti scorretti che all’apparenza sembrano innocui ma con il tempo possono portare disturbi ricorrenti. Il problema non sta nel computer in sé o nel tipo di lavoro svolto, bensì nella corretta posizione da assumere quando si svolgono queste attività sedentarie e, seguendo piccoli accorgimenti, possiamo proteggere in maniera efficace la nostra vista.
Dopo una lunga giornata in ufficio è molto probabile che i nostri occhi siano stanchi per l’uso eccessivo del computer. L’entità di questa condizione varia a seconda di quanto tempo si è trascorso davanti allo schermo e se esistono disturbi pregressi (astigmatismo, presbiopia e ipermetropia) che possano rendere i nostri occhi più sensibili a queste esposizioni prolungate.
Nonostante non esistano ancora prove definitive sui danni che nel lungo andare i pc possano portare alla nostra vista, l’American Optometric Association ha scoperto una serie di sintomi passeggeri che sono provocati dall’utilizzo prolungato di questi monitor:
1) Bruciore e occhi gonfi;
2) Offuscamento della vista;
3) Visione doppia;
4) Mal di testa.
Molti studi stanno riconducendo l’aumento dei casi di miopia che si è verificato negli ultimi anni tra bambini e adolescenti alle numerose ore che questa parte di popolazione trascorre davanti allo schermo dei pc e degli smartphone. Ciononostante è importante ricordare che i principali sintomi di questa esposizione prolungata non influiscono in maniera definitiva sulla nostra vista e possono essere lasciando riposare gli occhi.
Da cosa è provocato l’affaticamento visivo? Questo disturbo è provocato dal fatto che i nostri occhi durante un uso prolungato del computer devono sottoporsi ad uno sforzo continuo per mettere a fuoco le parole da vicino e per un lungo lasso di tempo, rendendoli inevitabilmente stanchi a fine giornata. Il paziente risente particolarmente di affaticamento visivo quando lo schermo è particolarmente vicino e l’illuminazione non è adeguata, imponendo così agli occhi di impiegare uno sforzo maggiore. Altri fattori che possono aumentare questo sforzo visivo sono: la presenza di errori di rifrazione non rilevati e l’utilizzo di lenti non adeguate.
Esistono diverse cause che possono provocare la secchezza oculare, ma sicuramente l’esposizione prolungata agli schermi è una tra le più comuni. Osservare un monitor per diverse ore al giorno riduce la frequenza con cui sbattiamo le palpebre, rallentando la lubrificazione dei nostri occhi e imponendo a fine giornata l’uso di colliri per alleviare questo disagio visivo.
Occhio normale e occhio secco
Perché passare tanto tempo al computer danneggia gli occhi?
Solitamente quando si pensa al tempo trascorso davanti al pc, si considerano le classiche otto ore di lavoro ma in realtà nel calcolo vanno inserite anche le ore in cui ogni giorno utilizziamo il telefonino, il pc di casa e la televisione. Questo utilizzo eccessivo degli schermi luminosi causa un affaticamento visivo (astenopia) e può dare una forte sensazione di vedere meno, causata da:
1) Eccessiva illuminazione;
2) Mancanza di illuminazione;
3) Esposizioni a luci ultraviolette;
4) Avvicinamento eccessivo allo schermo.
Come si può fare per prevenire questi disturbi? Le fastidiose conseguenze dell’affaticamento visivo possono essere prevenute e i loro effetti ridotti, se seguiamo alcuni comportamenti che correggono queste condizioni nocive alla nostra vista.
Tenere lo schermo del PC pulito e illuminato
L’illuminazione dell’ambiente dev’essere tale da poter vedere senza difficoltà gli oggetti circostanti (tastiera, mouse, fogli). Non devono essere presenti finestre dietro il monitor per non esporlo direttamente alla luce del sole e bisogna sempre regolare la luminosità dello schermo per non renderlo troppo abbagliante.
Lo schermo dev’essere posizionato ad una distanza di circa 50-70 cm (dipende dalle dimensioni del monitor) e dovrebbe essere posto in posizione inferiore rispetto allo sguardo. Se lo schermo è posizionato troppo in alto o troppo in basso può portare ad affaticamenti sul collo e le spalle a causa dell’inclinazione del viso. Se, nonostante queste indicazioni, senti il bisogno di avvicinarti allo schermo più del dovuto potrebbe essere un segnale di problemi alla vista ed è quindi consigliato recarsi dal proprio medico di fiducia.
In modo da evitare che, durante le ore di ufficio, i nostri occhi siano affaticati dal pc è necessario smettere di fissare lo schermo ogni 20 minuti e guardare un punto lontano nell’orizzonte per rilassare la nostra vista. Inoltre, ruotare gli occhi, sbatterli e sbadigliare può aiutare a rilassare la muscolatura del viso. È importante ricordare che staccare lo sguardo dal monitor non vuol dire approfittarne per controllare il telefono, i cui caratteri e pagine vanno allargati per portare meno affaticamento.
Postura adeguata
La schiena dev’essere sempre ben appoggiata allo schienale della sedia. Tra la tastiera e il bordo della scrivania occorre la giusta distanza di 15-20 cm utile per appoggiare gli avambracci. L’uso di poggia polsi potrebbe rivelarsi utile e i piedi devono poggiare a terra o su un apposito supporto.
Utilizzare occhiali o lenti a contatto apposite
Questi supporti vengono prescritti su misura dal medico oculista per non affaticare gli occhi.
Il controllo della vista è il primo rimedio per prevenire eventuali affaticamenti visivi. Il medico, in base alle nostre abitudini giornaliere, saprà indicarci i comportamenti da seguire per non sottoporre la nostra vista a sforzi eccessivi. Se si lavora oltre le 20 ore settimanali davanti al PC, è consigliabile effettuare periodicamente una visita oculistica.
SERGIO  DEMURU

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Postura: cosa si intende, problematiche comuni e rieducazione.

In fisiatria, ortopedia, odontoiatria, gnatologia, oculistica, angiologia ecc. si parla ormai costantemente di postura. In effetti, gli studi della postura, grazie alle innovazioni tecnologiche, hanno compiuto negli ultimi anni grossi passi avanti. Sempre più la postura risulta implicata, come vedremo in seguito, in molte problematiche muscolo-scheletriche e organiche.
La postura è l’adattamento personalizzato di ogni individuo all’ambiente fisico, psichico ed emozionale; in altre parole è il modo con cui reagiamo alla forza di gravità e comunichiamo.
La posturologia si trova così, per forza di cose, a essere una scienza multidisciplinare che abbraccia numerose branche della medicina e della tecnica.
L’equilibrio è garantito da importanti meccanismi fisiologici ai quali contribuiscono principalmente, oltre alla corteccia cerebrale, le funzioni vestibolari (labirinto), del cervelletto, della formazione reticolare, dei recettori visivi e, in minor misura, uditivi, degli esterocettori di tatto e pressione (della pianta dei piedi in particolare) e dei propriocettori di capsule articolari, tendini, muscoli e visceri (enterocettori). Inoltre studi recenti sembrano confermare che un ruolo importante possano averlo anche i barocettori renali.
Qualunque causa in grado di modificare l’equilibrio, dovunque posta lungo l’asse cefalo-podalico, avrà riflessi immediati, trasmessi per via ascendente o discendente lungo le catene muscolari, su tutti gli altri segmenti corporei, modificandoli con rotazioni e/o traslazioni di compenso. E’ evidente che qualsiasi forza (di spinta, trazione, rotazione ecc.) agisca sul sistema cibernetico “uomo”, avrà in risposta un atteggiamento di compenso che si spalmerà in senso centrifugo, dal punto di applicazione della forza verso i distretti corporei circostanti, fino a interessare l’intero organismo. Tale risposta, durante il suo percorso, dividendosi in una serie di sistemi e sottosistemi di compenso, lascerà il segno, positivo o meno, della propria azione nelle varie regioni corporee. Avviene così una riprogrammazione del sistema posturale e dell’equilibrio che comporta modifiche delle principali vie afferenti, sia fisiologiche sia, dopo un certo periodo di tempo, perfino anatomiche.
Nel tempo, tutto ciò influisce sulla propriocezione con significative influenze sull’equilibrio, quindi sulla postura. Tali “alterazioni”, infatti, vengono fissate a livello corticale, a vari livelli, tramite memorie biochimiche corpuscolari (acetilcolina, noradrenalina, apomorfina, ioni calcio e potassio ecc.) che poi divengono anatomiche per vero e proprio contatto tra neuroni (gap-junctions), sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico; quindi, la funzione governa la struttura. Questo fenomeno viene definito engramma motorio e rappresenta l’insieme delle esperienze motorie memorizzate dall’individuo come programmazione attivante il sistema feed-forward (anticipatorio) responsabile dell’attivazione neuro-motoria diretta. Quanto più ripeteremo, in maniera cosciente o inconscia, tali gesti motori programmati, tanto più rinforzeremo, al pari di un condizionamento neuroassociativo, quell’engramma motorio. In base alla forza scatenante, la dinamica motoria risultante potrà essere in ambito fisiologico o fuori di esso. In quest’ultimo caso, là dove il sistema non è in grado di ammortizzare la spinta compensatoria, può nel tempo insorgere o annidarsi la patologia.
Errori posturali quindi, anche modesti, col passare del tempo sono in grado di causare prima disagi e poi patologie: sovraccarichi con conseguente degenerazione articolare (artrosi, meniscopatie ecc.), irrigidimenti e degenerazioni dei tessuti elastici (tendinopatie, miopatie ecc.), intrappolamento dei nervi, blocchi respiratori, disturbi digestivi, cattiva circolazione, problemi di equilibrio ecc.
Compito della posturologia è il ripristino dei corretti gesti motori, in statica e in deambulazione, riprogrammando il sistema tonico posturale in un ambito fisiologico, tramite necessariamente un intervento e un programma personalizzato multidisciplinare.

SERGIO  DEMURU

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L’iperconnesione si è dimostrata causa di un malessere diffuso, ha fatto aumentare ansia e depressione.

La tecnologia è entrata in ogni situazione della vita e ha fatto aumentare ansia e depressione. I dati sono stati sciorinati in occasione della ”Giornata nazionale sulle dipendenze tecnologiche e sul cyberbullismo”.
L’iperconnesione si è dimostrata causa di un malessere diffuso, ha fatto aumentare ansia e depressione, oltreché disturbi al tratto gastrointestinale. I dati diffusi in un evento a Napoli durante la Giornata nazionale sulle dipendenze tecnologiche e sul cyberbullismo.
Lo smartphone è sempre più presente nella vita di genitori e minori, fin dalla più tenera età. È quanto emerso da una ricerca sulle dipendenze tecnologiche, condotta dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo (Di.Te) in collaborazione con la SIPEC, la Società Italiana di Pediatria Condivisa che, coinvolgendo 198 pediatri sul territorio nazionale e 13.049 persone, tra cui genitori, adolescenti, pre-adolescenti e bambini, compresi tra gli 0 e i 4, 4 e 9 e 9 e 14 anni. Ma questa presenza come incide sulla salute psicofisica dei bambini e dei ragazzi, nonché delle famiglie? Ne hanno parlato illustri esperti del settore a Napoli in occasione della Giornata nazionale sulle dipendenze tecnologiche e sul cyberbullismo dedicata a ‘Bambini e adolescenti digitali. Il corpo e la mente tra iperconnessioni e realtà mediata’. Nello studio realizzato è chiuso a fine 2023 sono vari i dati che saltano all’occhio. Nella fascia 0-4 anni, i genitori usano lo smartphone durante le poppate (54%), intrattengono i figli con i device durante la giornata (60%), li usano in loro presenza (67%), glieli offrono quando sono fuori casa (30%), quando sono stanchi (25,5%) o agitati per calmarli (27%) e il 33% dei bambini si lamenta o protesta perché gli adulti tolgono loro attenzione per dedicarla agli strumenti digitali. Nella fascia di età 4-9 anni, invece, addirittura l’88% del campione dichiara di intrattenere i figli durante il giorno con smartphone&co, di usarli in loro presenza (95,7%), di concederne l’uso prima di dormire (37%), quando sono stanchi o agitati (30%), e di intrattenerli durante i pasti (41,5%). Inoltre, il 42% dei genitori ammette che per l’utilizzo dei device si è ridotto il tempo di gioco all’aria aperta, che i figli si annoiano quando non li usano in casa (55%) e anche fuori casa (30%), e che hanno reazioni esagerate quando si chiede loro di disconnettersi (56%).
SERGIO  DEMURU

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Alcol e sigarette portano ad un invecchiamento precoce. Ridurne il consumo è il primo step per un miglioramento della vita in genere.

Bacco e tabacco sono particolarmente pericolosi negli adolescenti. anche per il cuore e le arterie. In particolare, più si beve da giovanissimi, peggiore tende ad essere la risposta delle pareti arteriosa che si fanno più rigide. In pratica i vasi vanno incontro ad un invecchiamento precoce. Purtroppo, quanto meno le arterie sono elastiche, tanto più potrebbero crescere  i rischi per lo sviluppo di infarti ed ictus in età adulta. A mettere in guardia i teen-ager sui pericoli dell’assunzione di alcolici, con un accento particolare sulle  “abbuffate” che si possono manifestare con il fenomeno del “binge drinking” che concentra in poche ore il consumo di elevate quantità di alcol, è una ricerca inglese, presentata con un asbtract al Congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc).
L’indagine è stata coordinata da Hugo Walford, dell’University College di Londra. Lo studio, che ha valutato anche l’impatto del fumo di sigaretta in giovane età su questo particolare parametro della salute delle arterie, ha preso in esame 1.655 partecipanti all’Avon Longitudinal Study of Parents And Children (Alspac) di età compresa tra 17 e 24 anni. L’alcol e il fumo sono stati misurati all’età di 17 e 24 anni e i risultati nei due momenti sono stati combinati. Il consumo di alcol è stato classificato come assenza totale di assunzione, medio (4 drink o meno in una giornata tipo di consumo) e alto (più di 5 drink in un giorno tipico). Sul fronte delle sigarette i partecipanti sono stati distinti in non fumatori, ex-fumatori, consumatori medi (meno di 10 sigarette al giorno) e forti fumatori (10 o più sigarette al giorno).
La rigidità arteriosa è stata valutata all’età di 17 e 24 anni utilizzando una tecnica non invasiva: si chiama velocità dell’onda del polso carotideo-femorale. Si tratta di un parametro particolarmente significativo per il rischio di future malattie cardiovascolari, nei giovani e non solo. Oltre a misurare consumo di alcol e fumo nelle diverse fasce d’età, considerando nella valutazione anche parametri diversi come il genere e lo stato sociale ed economico, gli esperti hanno anche monitorato l’indice di massa corporea, la pressione arteriosa, i valori di glicemia, colesterolo “cattivo” Ldl e dell’infiammazione, misurando la proteina C-Reattiva. In questo modo è stato possibile anche valutare altri parametri che potrebbero entrare in gioco nella salute cardiovascolare.
I risultati per le arterie fanno riflettere attentamente. In media la rigidità delle arterie è aumentata in media del 10,3% dai 17 ai 24 anni, con un incremento di poco superiore nelle donne rispetto agli uomini. Ciò che più colpisce, tuttavia, è che la carente elasticità delle arterie tende a salire progressivamente in relazione al consumo medio di alcol.  Per quanto riguarda il fumo, invece gli effetti negativi per chi fumava molte sigarette sono stati osservati soprattutto nelle giovani: la differenza nella rigidità dei vasi tra non fumatrici e forti fumatrici ha permesso di osservare è risultata statisticamente significativa in queste ultime. Secondo Walford “i risultati suggeriscono che il danno arterioso si verifica nei giovani bevitori e nelle giovani donne che fumano molto. Chi non ha mai fumato e chi ha smesso ha invece mostrato alterazioni simili nella rigidità arteriosa, il che indica che smettere può ripristinare la salute vascolare in questa giovane età”. Un’attenzione particolare, secondo gli esperti, va prestata al fenomeno del binge drinking.
In questo senso i risultati indicano che questi comportamenti potrebbero mettere i giovani in condizioni di avere una sorta di “invecchiamento precoce” delle arterie, rilevabile attraverso la misurazione della loro elasticità. Il “binge drinking”, ovvero l’uso di consumare elevate quantità di vino, birra e liquori in poche ore  tutte in una sera, per gli adolescenti può essere particolarmente problematico da gestire per l’organismo, anche perché nei giovani i sistemi di detossificazione dell’alcol ingerito possono non essere ancora sufficientemente efficienti.
SERGIO  DEMURU